Torna in riva allo Stretto Zdenek Zeman. Non sarà il palcoscenico del calcio che Messina e Foggia meriterebbero per storia e blasone, ma è sicuramente un tuffo nel passato della storia biancoscudata che ci riporta ad un calcio che non esiste più. Un pallone che avvicinava le folle agli stadi e ai propri beniamini, quando la settimana durava davvero sette giorni. Sì, sette giorni di passione vera.
Il ritorno del boemo a Messina ci riporta alla stagione 1988-89, un Messina da serie B che veniva dal meraviglioso ciclo del “Professore” Franco Scoglio, che dopo quattro stagioni indimenticabili si trasferiva al Genoa. Il presidente Turi Massimino, che aveva preso la società con un deficit pauroso per l’epoca, era riuscito a riportarla tra i cadetti e dopo l’addio del tecnico di Lipari aveva scelto proprio Zeman, reduce da stagioni esaltanti alla guida del Licata.
Il gioco spregiudicato di Zdenek aveva bisogno di interpreti adatti e Massimino lo sapeva. Ma quando la lista dei desideri del tecnico arrivò nelle mani del presidente, furono scelti non i primi, ma quelli che costavano di meno: Abate e Serra. C’era bisogno di centrali molto duttili, veloci e tecnicamente molto validi, ci pensarono poi gli infortuni a metter fuori gioco i due difensori. Fu questa la ragione dei dissidi fra allenatore e presidente.
Un Messina non totalmente competitivo che alternava grandi prestazioni a pesanti tonfi, anche se con l’arrivo di Ciucci, Picasso, Grandini e l’inserimento di Valigi arrivò il contentino per Zeman che faceva leva su giocatori come Modica, Di Fabio, Mossini e il centrocampista goleador Pierleoni. Con un tridente offensivo molto prolifico, grazie a Salvatore Schillaci, che con 23 gol ormai dimostrava quanto gli stesse stretta la serie B, Cambiaghi, Mandelli e Maurizio Schillaci, cugino di Totò, la cui prestazione nel match vittorioso per 3-0 con il Bari al Celeste nella stagione precedente è rimasta nella memoria di tutti.
Le fatiche del girone di andata si tramutarono in delizie nel girone di ritorno, quando arrivarono i successi sulla capolista Genoa di Scoglio e nel derby con la Reggina di Scala che lottava per raggiungere la serie A e che proprio per la sconfitta al Celeste, firmata da un immenso Totò Schillaci, dovette disputare lo spareggio con la Cremonese poi perso in quel di Pescara.
Zeman e la sua flemma: arrivava in panchina a partita già iniziata, lentamente con la sigaretta tra le dita, Zeman l’inflessibile che trattava Schillaci come tutti gli altri relegandolo in panchina contro il Taranto, beccandosi gli improperi del pubblico, come quando lo sostituì a venti minuti dal termine in quella che per l’eroe di Italia ’90 fu l’ultima partita al Celeste con la biancoscudata. Zeman lo trovavi seduto ai bordi dei campetti di periferia, sigaretta in bocca, a veder giocare i ragazzi.
Il calcio per lui è sempre stato tutto: divertimento, passione, applicazione, sacrificio, ma non successo. Per lui quello non è mai arrivato, almeno quello vero, fatto di trionfi internazionali o di scudetti. Le sue vittorie le ha conquistate in provincia, quella provincia che lo ama e lo amerà per sempre grazie alla sua genuinità e alla sua onestà intellettuale, aspetti che nel calcio moderno non sono più in voga.