Vojislav Stojanovic, guardia classe 1997 di Capo d’Orlando, è uno dei giovani più interessanti del campionato italiano: gioca 24’ a partita e ha già abituato i tifosi a giocate che decidono le partite, come è successo a Torino: “Ho una mentalità vincente, giocare da voi mi aiuta a crescere. E mi ispiro a Drazen Petrovic”.
È già andato in doppia cifra 5 volte e gioca 24’ a partita. Domenica, con un tiro da tre punti a 2” dalla fine, ha regalato alla sua squadra vittoria e quarto posto in classifica insieme a Sassari e Reggio Emilia. È la seconda in trasferta per i siciliani. Nella prima, a Brescia, il serbo fu decisivo con l’assist per il canestro di Mario Delas allo scadere.
Stojanovic, ci ha preso gusto a timbrare giocate importanti?
“Faccio quello che più mi piace: giocare a pallacanestro. In quei momenti devi essere totalmente concentrato”.
Ci racconta il tiro vincente di Torino?
“A dieci secondi dalla fine, mentalmente, ero già pronto a ricevere il pallone, perché poteva anche toccare a me prendere quel tiro. Ivanovic mi ha cercato, ho tirato, senza esitare”.
In quei momenti si sente la pressione?
“Il segreto è non pensare. Perché, se lo fai, sbagli sicuramente. Sei tu e il canestro, in una sorta di isolamento in cui la pressione devi tenerla lontano”.
Ci spiega il segreto di questa Capo d’Orlando?
“Siamo il club più piccolo in serie A, ma abbiamo un grande carattere. Qui nessuno pensa alle proprie statistiche. L’unico obiettivo è vincere”.
Lo scorso anno vestiva la maglia numero 1, in questa stagione la 23. Come mai questo cambiamento?
“Non mi interessa il numero. Il nostro direttore sportivo, Peppe Sindoni, mi ha detto ‘è meglio che cambi numero’. E mi ha assegnato il 23”.
Quasi una seconda investitura. Quando, nel 2015, Capo d’Orlando annunciò di aver siglato un contratto triennale, lo stesso Sindoni disse di lei “Rappresenta il progetto più interessante ed affascinante che il club abbia mai sposato nella propria storia”?
“Qui sto benissimo e ho modo di giocare e crescere. Non so come andrà la mia carriera, penso sempre al presente e mai al futuro. Dare il massimo oggi, significa poter avere obiettivi importanti domani. Ho dei sogni, li tengo per me”.
Nel 2015, davanti a 4500 persone, a Madrid, prima della finale di Eurolega, la sua Stella Rossa perse in volata contro il Real nell’epilogo del torneo giovanile. Contro, si trovò un certo Luka Doncic. Lei chiuse con 15 punti, 12 rimbalzi e 6 assist. Lui con 1 punto, 1 rimbalzo ed 1 assist in meno. Cosa le lasciò quella partita?
“Era una Stella Rossa un po’ anarchica, nel senso che non eravamo strutturati come una squadra senior ed ognuno aveva abbastanza libertà di giocare uno contro uno. Però eravamo intensi, aggressivi e pieni di talento. Andammo a un tiro dal supplementare. Mi trovai spesso a marcare Luka, un fenomeno. In attacco può fare quello che vuole, sarà una prima scelta al Draft Nba”.
Ha degli idoli o giocatori a cui si è ispirato?
“Uno su tutti: Drazen Petrovic. Ma anche Bojan e Bogdan Bogdanovic“.
Perché il basket serbo, inteso sia come nazionale sia guardando il grande biennio della Stella Rossa in Eurolega, in Europa, oggi, rappresenta qualcosa di unico?
“È una questione di mentalità. È un basket vincente perché un giocatore è portato a dare tutto sé stesso per arrivare al risultato finale. Che non è mai del singolo, ma sempre della squadra. La stessa cosa succede a Capo d’Orlando”.
A proposito, che rapporto ha con la città?
“La gente è calorosa, mi ha accolto benissimo. Non ero abituato al mare, mi ci sto adattando. È un posto in cui mi posso concentrare su ciò che amo di più: giocare a pallacanestro”.
Articolo di Gazzetta.it – Alessandro Rossi