L’ex campione d’Italia con la Benetton Treviso, argento olimpico ad Atene 2004 e bronzo europeo in Svezia ha intrapreso da alcuni anni la carriera di telecronista sportivo con Sky Sport. Amore immutato per la nostra isola: “In due fasi diverse della mia carriera sia a Barcellona che a Capo d’Orlando mi sono sentito uno di famiglia”. Impareggiabile la sua passione per il basket: “Nessun sacrificio, fare la cosa che ami di più non ha prezzo”.
Matteo Soragna ha lavorato giornalmente in palestra senza tralasciare nessun particolare per costruirsi una carriera luminosa che lo ha visto trascinare in campo sia i club per cui ha giocato che la Nazionale. Meticoloso in tutto quello che ha fatto sul parquet infiammando tutti i suoi tifosi, “Teo” oggi mette la stessa passione del primo giorno di allenamento anche nel suo nuovo lavoro nella redazione di Sky Sport, emittente per la quale lavora da alcuni anni e racconta agli italiani il magico mondo dell’Nba.
Quella di passare dal campo alle cuffie da cronista è stata una scelta naturale presa a fine carriera e che ancora oggi lo continua ad appassionare giorno dopo giorno. Questo gli ha fatto conoscere molto bene il mondo e il modo di pensare americano: “Ho cominciato a frequentare gli studi di regia contestualmente a quando giocavo a Piacenza, il mio ultimo contratto professionistico. L’Nba dopo alcune iniziali perplessità si è fermata con decisione, la ripresa degli allenamenti appare ancora lontana. Gli atleti sono tutti chiusi a casa e attendono un nuovo start della stagione. Personalmente però credo che per questa stagione non ci siano più i margini di ripresa, ai giocatori serve un naturale periodo di riacquisizione della condizione fisica e ricominciare il campionato a settembre significherebbe farlo protrarre sino a ottobre. Questo inciderebbe sull’inizio del campionato successivo che si colloca in coincidenza dell’anno olimpico e che pertanto non può cominciare così tardi. È un momento difficile per tutti, anche in America la paura è alta e si avverte un sentimento di rispetto alle condizioni di sicurezza. A volte non è semplice adottare decisioni che possono sembrare impopolari ma che vanno prese per il bene di tutti”.
La carriera in Nazionale è esemplificativa della parabola luminosa dell’atleta mantovano che per sua stessa ammissione si sarebbe persino accontentato di vivere un raduno azzurro per respirare la magia di quella maglia ma che invece con la canotta azzurra ha raggiunto vette altissime e indimenticabili. “Da ragazzo vedevo gli atleti orbitanti in maglia azzurra e avrei pagato un giorno per arrivare lì. Charlie Recalcati mi diede la chance che ho sfruttato ed ho potuto vivere un clima inimitabile. È di per sé la sublimazione per uno sportivo, che nel mio caso è stata anche corroborata dalla conquista di grandi risultati. Non avrei potuto chiedere altro”.
Soragna durante la carriera ha dato uguale importanza alla maglia di club ed a quella italiana. Alle volte non sempre questo è così automatico da parte di suoi colleghi alle prese con contratti da rispettare e calendari molto fitti di appuntamenti: “Credo che non spetti a me parlare. Rispetto al mio periodo adesso la situazione è completamente diversa ed ogni caso è singolo, non si può generalizzare. Le carriere adesso sono diverse, i contratti milionari e non puoi sottrarti ai tanti impegni. Ci sono giocatori che pur di rispettare l’impegno con la Nazionale magari giocano rischiando di subire un infortunio che può mettergli a repentaglio il proseguo di carriera anche a stelle e strisce, poi ci sono altri che la pensano diversamente e lo rispetto”.
Uscito dal vivaio di Cremona, dopo una stagione trascorsa all’Olimpia Pistoia, nel 1997 a ventidue anni arriva per la prima volta in Sicilia a Barcellona dove per tre stagioni mostrerà al pubblico del PalAlberti tutto il suo valore, sfiorando nell’anno del debutto la promozione in serie A2 e ottenendola l’anno seguente in finale contro Ferrara.
Nel terzo anno il club giallorosso con Perdichizzi in panchina e con in campo un compagno come Li Vecchi arrivò secondo al termine della stagione regolare, per poi giocarsi la promozione in serie A contro la Snaidero Udine, perdendo solo di un punto (81-80) la gara 4 dei play-off. “La mia famiglia è molto legata a questa terra composta da persone stupende. All’epoca mi accompagnò in quell’avventura quella che sarebbe poi diventata mia moglie. Anche mia figlia ha visto le nostre amicizie dell’epoca con gente solare che ancora oggi conserviamo gelosamente. A Barcellona ho ricevuto un affetto impareggiabile, una cosa bella al pari dell’ottima esperienza sportiva sul parquet” .
Molto più recente nella sua carriera è la seconda esperienza siciliana, questa volta a Capo d’Orlando (dal 2013 al 2015). Da giocatore navigato, capitano e punto di forza di un roster impreziosito dalla presenza in panchina di Gianmarco Pozzecco ed al suo fianco di due colonne come Gianluca Basile e Sandro Nicević, l’Orlandina al primo anno chiude in seconda posizione la regular season e compie poi una grande cavalcata nei play-off arrendendosi soltanto in finale contro l’Aquila Basket Trento (promossa in serie A).
La stagione successiva in massima serie arrivata d’ufficio dopo l’esclusione di Siena si conclude con un’agevole salvezza ottenuta con quattro turni di anticipo: “Capo d’Orlando è un altro angolo di paradiso, una cittadina splendida che riesce a conquistare tutti. Porto con me amici che ricordo ancora oggi, la società è molto organizzata ed ho apprezzato molto la vita in riva al mare. E’ stato poi splendido condividere tutto con Nicevic, Basile e Pozzecco. Il “Professore” oltre ad essere un giocatore di esperienza e raffinato dalla scuola europea è una persona eccezionale e uomo di grande cultura, con lui puoi parlare di tutto per ore. Il “Baso” è un amico di vecchia data già dai tempi della Nazionale, non parla tanto ma è un piacere stargli a fianco. Mi sono abbeverato dalla sua fonte. Infine il “Poz” altro compagno in azzurro, dal talento incredibile e pazzerello. Siamo diversi di carattere ma dico solo che siamo stati anche compagni di stanza. Ne abbiamo vissuto tante”.
Per chi come Soragna vanta 838 punti in Nazionale in 138 convocazioni potrebbe sembrare automatica la scelta di allenare e trasferire il suo sapere ai più giovani. Su questo argomento la porta non è chiusa ma al momento “Teo” è molto preso da altri progetti: “Io ho conseguito il patentino da allenatore e non posso escludere che in futuro lo farò. Guarderei con interesse a un progetto pluriennale ma nel panorama attuale non sono tante le offerte di questa natura. Adesso però non ci penso, ho tante cose da fare che mi assorbono molto”.
In serie A2 le società in questo periodo di stasi per far divertire i tifosi hanno lanciato il contest “Leggende”, una battaglia all’ultimo voto dedicato a tutti quegli atleti divenuti celebri con le maglie delle compagini della seconda serie Nazionale. Soragna figura in lizza sia con Capo d’Orlando che con Biella, società che dopo quattro anni giocati in Piemonte (dal 2000 al 2004) decise di ritirare la sua maglia numero 7. “Sicuramente fa molto piacere, sono giochi per i tifosi che ingannano il tempo in attesa di tornare al palazzetto. Devo però ammettere che sono uscito presto dalla votazione sia in Sicilia che in maglia rossoblu”, scherza.
Un’esperienza che probabilmente lo ha reso celebre a ogni latitudine del mondo della palla a spicchi è quella maturata alla Benetton Treviso in cinque stagioni. Otterrà il suo esordio in Eurolega e nel 2005 dopo il ritiro di Marconato diventerà anche il capitano del suo storico primo scudetto in carriera, l’ultimo nell’albo d’oro dei trevigiani. L’arrivo in Veneto era stato preceduto da un simpatico siparietto con sua moglie Lisa: “Quell’estate le dicevo sempre “Occhio, se suona il telefono rispondi perché può essere la Benetton”. E poi è andata esattamente così. Una società storica del nostro basket, un’organizzazione perfetta grazie ad una famiglia di imprenditori seri, ti rendi conto che arrivi al massimo livello possibile per un atleta”.
Il suo amore per questo sport è stato sempre troppo grande e la sua carriera lo dimostra, la sua filosofia contempla il giocatore come persona privilegiata rispetto ad altri lavori perché in grado di poter fare quello che più gli piace. “Se insegui certi obiettivi devi lavorare tanto ma non li definirei sacrifici, alla fine fai quello che più ami quindi non andare in discoteca o non poter uscire con gli amici prima della partita non credo sia la fine del mondo. Sicuramente deve essere concepito come un lavoro e devi rendere nella maniera più professionale possibile curando il fisico ma male che vada sei costretto a lavorare quattro ore al giorno. Se penso ad esempio a chi è in fabbrica ogni discorso non è paragonabile, chi fa sport infatti anche a metà carriera può sempre prendere un’altra direzione in un diverso ambito ma per chi lavora in altri mondi il cammino inverso è quasi impossibile”.
Da opinionista di un’emittente autorevole Matteo è consapevole da cosa il basket dovrà ripartire dopo questa terribile pandemia legata al Coronavirus: “Sarà inevitabile stilare dei programmi a lunga scadenza perché ritengo che questa situazione emergenziale avrà risvolti sul nostro mondo per anni e non solo per la prossima stagione sportiva. Bisognerà essere vicini alle società”.