Il tecnico viareggino sta vivendo in Sicilia questo difficile momento emergenziale: “Da capitano non ho lasciato la nave, sono a contatto con i miei affetti isolani”. La cultura un caposaldo del suo modo di essere: “Da sempre mi identifica e mi dà certezze”. Indissolubile l’amore per l’Orlandina: “Ho trovato una realtà imprenditoriale che rispetta l’identità familiare”.
Chi frettolosamente ritiene che il mondo sportivo professionistico non possa coniugarsi con i valori dell’arte e della cultura probabilmente non conosce Marco Sodini. Il tecnico viareggino, arrivato in Sicilia nel giugno 2018, in poco tempo si è fatto apprezzare da tutti gli addetti ai lavori con gesti semplici ma diventati ormai un rito. Sono celebri le sue conferenze stampe pre-partita con continui rimandi a libri e quadri e tra un pick and roll e un aiuto in difesa spesso lo si è sentito citare Nietzsche o Eco. A chi gli fa notare che questo non è propriamente rituale per uno sportivo, lui replica con decisione.
“Soltanto dodici giorni fa è arrivata la pietra tombale su questa stagione sportiva. Sono rimasto in Sicilia e vivo nel migliore dei modi questa situazione. Non credo di essere una figura atipica, per mia natura non mi sono mai eccessivamente interessato dei giudizi altrui. Io sono me stesso e quello che più mi piace fare è identificarmi nei valori della mia cultura familiare, che pongono al centro il sapere. Voglio essere funzionale alle idee dei miei ragazzi che alleno la domenica e credo che questi siano valori universali accomunabili con quelli di uno sportivo. Dopo aver dato spazio a pittura e libri quest’anno volevo parlare principalmente di viaggi. Poi abbiamo convenuto con la società di cambiare argomento. Ringrazio, semmai ce ne fosse bisogno, la famiglia Sindoni per avermi contattato e collocato in questo posto”.
Dopo un avvio di carriera nel mondo femminile, Sodini ha bruciato le tappe arrivando a diventare assistente allenatore aprima a Milano e poi a Cantù, dove nel 2017 ha poi coronato il sogno di essere primo allenatore col riconoscimento a fine stagione di terzo migliore coach del massimo campionato. Quell’anno la sua squadra arrivò in semifinale di Coppa Italia ed ai quarti playoff col primo attacco del campionato, prima di accettare in estate la proposta dell’Orlandina. “Credo che con Cantù sia stato soltanto un arrivederci, ma non c’erano più i presupposti per continuare. La società era in mano a una famiglia russa e le preoccupazioni non erano rivolte soltanto al campo ma anche al mantenimento della struttura. Dove lavoro voglio potermi esprimere al meglio, altrimenti mi faccio da parte, e credo che quello fosse il momento giusto per cambiare. Oltre alle vittorie sul campo ricorderò sempre il mio record da allenatore in una gara con più presenze al PalaDesio nei playoff contro Milano. C’erano 6.297 spettatori, fu bellissimo. Subito dopo ho incontrato la famiglia Sindoni: Giuseppe è un genio per il nostro basket e con Enzo il rapporto è splendido. C’è una progettualità diversa rispetto ad altri ambienti”.
Gli ultimi due campionati in Sicilia sono stati tra loro molto differenti. L’anno scorso la squadra ha sfiorato la riconquista immediata della massima serie e non a caso l’Orlandina ha già bloccato Sodini fino al 2022. “Esprimevano un gioco oggettivamente splendido, c’erano grandi aspettative da parte dei ragazzi ma non scordiamoci che si avvertiva lo scetticismo generale. Oltre a Parks e Triche, il terzo leader designato era Davide Bruttini, che a Treviso viaggiava pur sempre a tre punti di media. Il resto del gruppo era molto giovane, con Lucarelli caricato di responsabilità e catapultato dalla serie B al quintetto di partenza. A chi guarda questo con sospetto dico che è la cultura sportiva italiana che deve cambiare perché c’è l’ossessione dei risultati. A Capo d’Orlando il valore centrale è invece l’auto-sostenibilità aziendale: è un miracolo per un centro così piccolo essere nel novero del professionismo”.
La stagione attuale si è conclusa forzatamente in anticipo: ”Non posso nascondere che quest’anno sono stati commessi errori nella costruzione della squadra. Paradossalmente avevamo mantenuto in organico ben sette giocatori reduci dalla finale playoff e nonostante tutto lo scetticismo era ancora maggiore rispetto alla stagione precedente. Mai in carriera ho avuto così tanti infortuni di natura traumatica, questo è stato veramente logorante. Però è anche vero che noi dalle nuove generazioni di giocatori dobbiamo pretendere di più: devono saper convivere con la pressione addosso che ti dà il mondo professionistico, serve la massima efficienza quando si va in campo. Non vorrei che si perdesse di vista un dato centrale: io a Capo d’Orlando mi sento un amministratore delegato che con lui ha cinquanta dipendenti con un fatturato superiore al milione di euro e che deve dare col tempo garanzie alla proprietà di ottenere gli obiettivi. Non voglio solo vincere le partite, tra quattro anni vorrei poter formare altrettanti giocatori pronti per l’A1. Ad esempio Laganà vorrei che un giorno giocasse l’Eurolega. Poi se per forza contrattuale Capo d’Orlando non potrà offrirgli questo traguardo guarderà altrove ma in quel momento potrà dirsi finalmente completato il nostro percorso”.
Coach Sodini è serafico e non si perde in disquisizioni generiche in merito alla decisione della Federazione di sospendere i campionati: “Non mi sembra corretto in questo momento sindacare la scelta. Nel nostro mondo abbiamo delle Istituzioni apposite che hanno preso la decisione più opportuna. Se tutti ci lasciassimo andare in giudizi che vanno in questa o quella direzione non se ne uscirebbe più e credo che non sarebbe la cosa più gratificante. La nostra società tecnologica ci permette di avere sempre l’ultima parola, però vorrei che su un argomento così serio non si alzassero inutili polveroni”.
Il futuro della pallacanestro imporrà inevitabilmente scelte difficili e probabilmente in controtendenza col recente passato, un taglio del numero di squadre e linee organizzative che realtà come l’Orlandina professa già da tempo non sospetto. “Serviranno scelte coraggiose, non so se impopolari, in un mondo come il nostro, che inevitabilmente guarda centralmente all’aspetto finanziario. La mia idea di serie A1 è che racchiuda tante piazze tra loro appetibili: occorre un equilibrio tra numero di partecipanti e qualità dei progetti. In A2 siamo tanti numericamente e dobbiamo principalmente formare i giovani. Vorrei infatti che un 17enne giocasse perché lo merita e non per semplici cavilli di regolamento in modo che possa “rubare” il posto ad un 40enne, altrimenti opterei senza alcuna fatica per far allungare la carriera al secondo. Bisogna riuscire ad attrarre la gente per farla andare nei palazzetti, puntare sulla premialità per chi investe sui ragazzi e fondi per i settori giovanili, centrali nel basket del domani. In definitiva leggo tante idee promosse da più parti, tutte interessanti”.
Da toscano verace è orgoglioso della sua terra, valori che Marco Sodini ha ritrovato e potuto apprezzare in Sicilia. “Sono fiero di essere di Viareggio, la perla del Tirreno, e credo ci sia un legame non scritto con Capo d’Orlando, un’altra gemma del Tirreno. Nella mia regione si vive di grande campanilismo tra tante piazze e l’aspetto economico come in ogni luogo è prioritario. Per anni il Monte dei Paschi di Siena ha sorretto un club leggendario, rimasto oggi all’apice unicamente come settore giovanile. In Sicilia si riscontrano difficoltà oggettive nella formazione dei giocatori: ad esempio l’altezza media dei nostri ragazzi è la penultima in Italia dopo la Sardegna. Possiamo avere i migliori tecnici a disposizione ma in definitiva i contesti delle strutture giovanili crescono soltanto con la qualità degli atleti”.
Infine un suo commento sul rapporto speciale che lo lega alla proprietà del club paladino. Inevitabili gli incontri ed i colloqui giornalieri, essendo lui rimasto in sede: ”Con Enzo ci incontriamo e ci interfacciamo spesso, praticamente un giorno dopo l’altro. Abbiamo le stesse idee e sentiamo addosso mai come oggi un dovere morale e grandi stimoli nel portare avanti il progetto tecnico. Giuseppe lo sento sempre, è un antesignano. Capo d’Orlando sarà sempre la sua squadra e penso che la pallacanestro italiana non possa permettersi il lusso di farselo scappare. Come diceva Goethe, con Capo d’Orlando sento affinità elettive: è il bello di essere una società seria e unica nel suo genere, perché si identifica ancora in un contesto familiare”.