A vent’anni dalla promozione in serie A del Messina, pubblichiamo il personale ricordo del collega Maurizio Licordari, che dopo gli anni vissuti tra TeleVip, Tcf e Rtp, oggi lavora in Rai. Inevitabile il riferimento al padre Mino, icona della tv locale messinese, che visse la serie A degli anni ’60 e la memorabile cavalcata del 2004.
“Ascoltatemi bene, ragazzi. Vi dico una cosa che voglio vi resti bene in mente.
Voi siete dei privilegiati.
Lo siete perché siete nati in famiglie che non vi hanno fatto mancare niente.
Lo siete perché fate un mestiere bellissimo che – come diceva un maestro – è “sempre meglio che lavorare”.
Lo siete perché scrivete di calcio e questo è di per se già un grande privilegio. Una fortuna che molti non hanno avuto.
Ora, però, lo siete ancora di piu. Lo siete perché scrivete – scriverete – di una squadra di SERIE A (scandito, come lui sapeva fare).
Da domani sarete giornalisti di serie A.
Maurizio, Massimo, Michele… Capito?!
Ricordatevelo.
È un grande privilegio. Un onore.
Io aspettavo da 40 anni di poterlo dire, di nuovo.
Un.
Onore.
Congratulazioni.
Un onore. Ma anche un grande impegno, eh.
Un onere.
Una responsabilità che da oggi avete – e avrete sempre – nei confronti di chi vi ascolta, di chi guarda la tv, di chi legge ciò che scrivete.
Oneri e onori. Sempre.
Allora, congratulazioni, ragazzi: siete giornalisti di serie A.
Ora, dimostrate di meritarlo.
Ricordando sempre che non è un privilegio per tutti, questo.
Io, ripeto, ho avuto la fortuna di viverlo un’altra volta, il Messina in serie A.
Ma poi sono passati 40 anni.
Ho visto la B, la C. La D…
E vi dico una cosa: non so se lo vivrò di nuovo.
Per questo, sono tanto emozionato. Anch’io.
Allora… godetevelo, questo momento.
Mettetecela tutta. Date il massimo.
E sorridete.
Che questo Messina qui, oggi, ha fatto la storia. E voi, oggi, avete il privilegio di raccontarla”.
Era fine maggio 2004. Non ricordo il giorno. però sono certo che non fosse proprio “quella sera”. Era poco prima.
Lui amava anticipare tutto. Anche la scaramanzia.
Ricordo che alternava alle parole i sorrisi e piccoli rituali che non credo di aver bisogno di spiegare.
Ma lo sapeva bene, come lo sapevamo tutti, che era solo questione di tempo.
Era un discorso estemporaneo. Non certo studiato prima. Non lo faceva mai, in fondo.
Era una sorta di riunione di inizio anno. Anche se arrivava alla fine di quello precedente.
Venivamo da una stagione a livello personale molto dura. Ma ci stavamo rialzando, nei limiti del possibile.
E lui stava lì. Parlava del futuro. Il futuro di noi che dovevamo diventare “grandi”, come quel Messina. Grandi e da serie A.
Ci chiedeva di mettere da parte le solite storie, le polemiche, le “chiacchiere da bar”. Di diventare giornalisti di serie A, a dispetto degli scettici, come il Messina era diventato squadra di serie A, i suoi calciatori, calciatori di serie A.
Dovevamo crescere, insieme a quel gruppo fantastico. E crescere professionalmente, per esserne all’altezza.
Restando tifosi, ovviamente, perché quello era il nostro quid in più. Ma ricordando che non poteva bastare. Che il Messina si sarebbe confrontato di lì a poco con Juve, Milan, Inter, e noi con Rai, Mediaset, Sky.
Le immagini non erano le stesse, gli opinionisti non erano gli stessi. E noi dovevamo convincere il pubblico a star lì, incollato allo schermo.
A scegliere la tv locale piuttosto che la domenica sportiva. Si alzava il livello, per tutti. Anche per noi.
A volte vincevamo, a volte no.
Però, ogni sera, tornavamo a casa con quelle parole che ci risuonavano in testa.
“Il Messina è in serie A. Messina deve dimostrare di essere da serie A. Tu mica vorrai essere da meno?!”.
Lui… beh, lo avrete capito chi era.
Io, da professionista, a quel discorso, a quella stagione, sento di dovere ancora moltissimo.
Da tifoso… non ho dormito. Due giorni e due notti. Ma questa è un’altra storia.
Sono passati vent’anni.
Non scrivo più di calcio (se non per diletto).
Non vivo più a Messina, mio malgrado.
Ma alla mia parete ho ancora attaccato il collage di ritagli di giornale opera di mia sorella. I brividi… beh, sono sempre gli stessi.
E se rileggo quelle parole, mi sembra di sentire ancora quella voce.
Da serie A.