Genio e sregolatezza, talento e follia. Gianmarco Pozzecco, a sette anni dal ritiro dal basket giocato, resta uno degli uomini simbolo della pallacanestro e dello sport italiano. Quest’anno ha indossato per la prima volta le vesti di assistente allenatore dell’ex compagno di squadra Veljko Mršic, al Cedevita Zagabria, in Croazia, terza tappa all’estero dopo Spagna e Russia, dove sbarcò da giocatore. In questi giorni la Nazionale si gioca, a Torino, la qualificazione alle Olimpiadi. La speranza è che con Ettore Messina in panchina si possano cancellare tutte le recenti amarezze, per risultati un po’ al di sotto degli obiettivi.
I successi con la Tunisia e la Nazionale di Bogdanovic fanno ben sperare: “Siamo una squadra fortissima ma le troppe aspettative potrebbero diventare un boomerang se qualcosa dovesse andare storto durante una partita. Non è l’Italia più forte di sempre perché ha quattro giocatori Nba, anche le altre hanno singoli di livello assoluto. Non sarà facile ma sono ottimista. Possiamo qualificarci e soprattutto puntare a un clamoroso podio a Rio, anche perché in panchina si accomoda il migliore allenatore disponibile”.
Ha collezionato 83 presenze in Nazionale. Cosa si provava?
I ricordi dell’azzurro sono un po’ sbiaditi e mi viene da ridere se penso che l’ultima partita in Nazionale l’ho giocata nel 2005. Di certo quella è l’unica maglia che mette tutti d’accordo, sotto un’unica bandiera, a differenza di quanto avviene nei club.
L’argento del 2004 resta un’impresa indimenticabile…
È stato un colpo di culo! Eravamo davvero gagliardi ma sicuramente non i più forti. E forse nemmeno i secondi, i terzi, i quarti o i quinti. La Spagna perse con gli Usa, altrimenti sarebbe arrivata più in alto. Mancavano i migliori, come Fucka, Andrea Meneghin e Myers. C’era soltanto Basile ma abbiamo tirato fuori gli attributi…
Il gruppo prima dei singoli.
Giocavamo alla grande e spesso accade che da sfavoriti ci si entusiasma e si stupisce. Lo dimostra l’ultima Nazionale di calcio, che sulla carta aveva talento appena sufficiente e ha sfiorato un risultato storico. Se avesse superato la Germania ai rigori sarebbe arrivata in fondo e magari avrebbe vinto l’Europeo.
A proposito, la finale scudetto tra Milano e Reggio Emilia in contemporanea con Italia-Belgio è uno dei più grandi autogol della storia…
Siamo semplicemente assurdi! Io per ora sono negli Usa, alla Summer League, dove mi hanno invitato i Los Angeles Clippers, e qui è tutto differente. Il risultato è importante ma non fondamentale, è soltanto la punta dell’iceberg, bisogna pensare anche al resto.
Lo dice perché il suo palmares è piuttosto scarno?
Ho vinto poco. In bacheca ho soltanto l’argento di cui parlavamo, uno scudetto e una Supercoppa. Però ho incassato tanti soldi e raccolto l’amore della gente. E questo mi basta.
Cosa dobbiamo imparare dagli statunitensi?
Sono molto più sensibili al marketing, anche perchè in Nba ci sono 30 squadre e hanno capito che vincerà sempre soltanto una… Le altre 29 però non si sparano. Dovremmo rendercene conto anche noi, pianificare diversamente tante cose e cambiare la nostra cultura sportiva, lavorando anche sulla percezione dei tifosi.
Impresa ardua, a giudicare quello che si legge sui social…
Dopo un Europeo così, Pellè e Zaza, che pure ci ha regalato un balletto di flash dance prima del tiro, non possono essere massacrati. Né te la puoi prendere con Bonucci, per un errore arrivato dopo tante prodezze. È una stronzata reagire così!
Tornando alla Nba, Curry o Lebron?
Nessuno dei due, anche se sono giocatori clamorosi. Per me il punto di riferimento restano Larry Bird, che a chi gli chiedeva paragoni con il Dream Team del 2012 ha risposto: «Considerato che non gioco da 20 anni oggi forse potrebbero giocarsela con noi… ». È ovvio che James è incredibile. L’ho anche affrontato a Colonia: è una Smart che si muove nel campo, ha il fisico di un pivot ma si muove come un play. Ma evitiamo i paragoni con Michael Jordan.
Se dico Italia a cosa pensa?
Alla Fortitudo, dove sono stato due anni e mezzo, ma soprattutto a Varese e Capo d’Orlando, che non a caso sono le uniche due squadre che ho allenato. Sono molto legato ad entrambe, hanno caratterizzato la mia vita. Un giorno magari allenerò anche a Bologna, per chiudere il cerchio.
A 43 anni compiuti se la sente di designare un suo erede?
Un po’ mi rivedo in Della Valle e Hackett, perchè hanno il fuoco che avevo io per dominare la partita. Ma oggi non è concepibile che uno scemo come me possa fare le stesse cose in campo. Ne parlavo poco fa in taxi con Bazarevic (il tecnico della Nazionale Russa e di Cantù, ndr). Lui faceva 28 punti di media in Russia e Turchia, oggi sarebbe impossibile…
Abbiamo smarrito la poesia…
Gli atleti attuali non sono certo più scarsi di noi ma non ci sono più i giocatori franchigia. Un tempo le sorti di una società erano in mano a pochi atleti, e penso anche a Meneghin e De Pol a Varese. Oggi non esistono più per volere dei club.
Non c’è un Pozzecco neanche in altri sport?
Oggi è tutto troppo rigido e professionale, anche nelle altre discipline. L’assioma divertimento-professionismo non è concepibile. Non si va mai sopra le righe. Non ci sarà più un George Best, che non sarebbe benvisto. Forse soltanto nell’Nba c’è spazio per gli squinternati e qualche follia. Forse è anche per questo che per ora mi trovo qui!