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Pozzecco: “In Croazia ho cambiato prospettiva. Capo? Vi spiego la stagione perfetta”

A metà tra talento e follia, tra la determinazione di un campione e la leggerezza di uno showman.
Ma adesso? “Non so – dice – quanto la Croazia mi sia servita a crescere. Vi assicuro però che sono alto sempre 1,80m. E d’altronde non poteva che ri-presentarsi così Gianmarco Pozzecco, vice allenatore del Cedevita Zagabria ed ex cestista e coach di Capo d’Orlando.
Lui – per circa vent’anni – la storia della pallacanestro italiana l’ha segnata davvero, ma non sono lo scudetto vinto con Varese o l’argento ad Atene 2004 a rendere magica la sua carriera. Croce e delizia di chi lo ha allenato, sopra le righe come pochi anche nei panni da coach, in panchina l’ex folletto ce lo ha portato l’Orlandina ed a cinque anni dall’esordio in giacca e cravatta Pozzecco non ha perso tempo perché si parlasse di lui. Insomma, tra alterne vicende ancora oggi nessuno sa ancora tenere a freno il genio e la sregolatezza del Poz, che nel 2015 ha scelto di reinventarsi assistente dell’ex compagno di squadra Veljko Mršić.

Varese-Milano, 18′: Pozzecco non riesce a trattenere la rabbia e si strappa la camicia di dosso. Subirà una squalifica di cinque turni

E proprio nella penisola balcanica si stanno giocando i playoff di Adriatic League, che il Cedevita sta affrontando da secondo nella regular season:  “Qui ci si gioca lo scudetto in quattro. Abbiamo vinto gara uno col Partizanracconta Pozzecco – e se conquistassimo un successo sabato, a Belgrado, sarebbe già finita. Siamo molto positivi ed è legittimo aspettarsi che dall’altro lato arrivi la Stella Rossa, che è al momento è tra le migliori formazioni europee e vince 1-0 con Budućnost”.
L’ultima esperienza all’estero del Poz risale al 2007 e stavolta l’approdo in Croazia succede alle dimissioni da head coach di Varese. Il ritorno in Lombardia non è stato fortunato per Pozzecco, che sul parquet arrivò a strapparsi la camicia di dosso per la rabbia. Ecco dunque una nuova esperienza per crescere: “Aver fatto il vice per due anni, in un contesto diverso da quello italiano mi ha stimolato molto. Da assist coach – afferma – ho visto la pallacanestro da un altro punto di vista. Lavorare in quest’area geografica ha una sua ragione: consente di conoscere molti più giocatori, il loro pedigree, il loro background. 

Pozzecco con la canotta di Varese e degli eccentrici capelli tinti di rosso

Leggevo in settimana un’intervista a Peppe Sindoni, in cui sottolineava l’importanza dello scouting. Sostiene che avere una conoscenza totale dei cestisti che si muovono tra un campionato e l’altro sia il 70% del compito di un general manager e non posso che condividere. Oggi  – continua – conosco bene i giocatori dell’area adriatica ed in Italia, messo un attimo da parte il mercato americano, le società firmano soprattutto atleti serbi, croati, sloveni, o al massimo qualche lituano e qualche polacco”.
Il vero amore di Pozzecco è comunque la pallacanestro. Lo stesso Meo Sacchetti, che lo allenò a Capo d’Orlando, fu spiazzato ai nostri microfoni ad una domanda sul futuro del suo ex allievo, affermando di non conoscere un ragazzo più imprevedibile: “Ha ragione Meo, è assolutamente vero (ride, ndr). Non è nemmeno detto che faccia il tecnico per tutta la vita – dice – o che torni a fare l’head coach. Di certo c’è che amo la pallacanestro. Amavo giocarla, ma non posso più. Mi piace di discuterne, viverla. Se ti diverti veramente a fare una cosa non hai mai degli obiettivi nel tempo: lo fai, punto. Oggi mi piace fare il vice allenatore e so solo che continuerò a guardare la pallacanestro. Chissà, magari lo farò da casa, in poltrona, senza nessuna responsabilità”.

Pozzecco
Pozzecco e Basile con l’Argento Olimpico di Atene 2004

Domenica si gioca invece Varese-Capo d’Orlando, 24esimo atto della Serie A e derby tra le due anime di Gianmarco Pozzecco. Lui che celebrò il passaggio da Sud a Nord con lacrime ed urla in conferenza stampa, è legato al mare della Sicilia quanto alla città del campo dei Fiori, ma in vista del match dà peso alla classifica: “Sono sincero, domenica avrei tifato Varese  – rivela -. Loro hanno bisogno di due punti per salvarsi, quindi è questo l’unico motivo. Allo stesso modo avrei tifato Capo d’Orlando se una vittoria fosse servita per avere la matematica certezza dei playoff. Come tutti sanno questi sono i due posti che ho amato di più, anche se ho giocato in tante altre città. Mi piacerebbe enormemente vederla dal vivo, – dice – soprattutto per abbracciare tante persone che in quelle società hanno lavorato con me e che ancora sono lì, a distanza di anni. Uno su tutti Peppe Sindoni, perché è mio fratello e poi, se dovessi dire qualcuno di Varese, Toto Bulgheroni, che è un po’ come fosse mio padre”.

Ryan Boatright, una stella a Capo d’Orlando. Oggi al Cedevita

E se al Cedevita c’è un po’ di Varese grazie a coach Mršić , c’è anche un po’ di Capo d’Orlando grazie a Ryan Boatright, folletto USA che trascinò alla salvezza i tirrenici ed ora gioca nella squadra di Pozzecco:  “Sono queste le cose belle della vita, o in questo caso dello sport. Avevamo dato via un playmaker, – ricorda – la società doveva necessariamente tornare sul mercato ed uno dei primi nomi che saltano fuori era quello di Ryan Boatright. Tutti sono venuti da me chiedendo che chiamassi a Capo d’Orlando, per capire cosa pensavano del ragazzo. Potevo anche preoccuparmi un po’, dato che ero sicuro il giudizio che arrivava dalla Sicilia avrebbe pesato un po’. Ho corso un rischio ma nemmeno tanto, perché ero certo che Peppe avrebbe detto solo la verità. Oltre al rapporto che ci lega, è il miglior general manager che c’è in Italia,- commenta – quindi avevo una garanzia tecnica assoluta. Allora non ho aspettato più, ho detto al capo allenatore ed alla società che andava preso ed è stato firmato subito. D’altronde il valore di Ryan è indiscutibile”.

Pozzecco elogia la competenza di Peppe Sindoni, che di pallacanestro “ne sa più del padre”

E’ forte proprio il legame tra il Poz e Peppe Sindoni, quel direttore sportivo che ha appena 28 anni e che – dice chi lo conosce bene – lavora a pieni poteri sulle prospettive future della Betaland. Proprietà e management coincidono nella famiglia Sidoni, ma il presidente, Enzo, punta forte sul suo ds:  “Lo confesso, ho una venerazione per entrambi. Enzo ha un carattere molto forte, – racconta Pozzecco – una personalità spiccata ed ha un grande ascendente sul figlio. Quanto alla pallacanestro, però, Enzo ha una stima incredibile Peppe, perché si è reso conto di quanto sia bravo. Quando lavoravamo insieme ed andavamo da Enzo lui non ci ha mai, neanche lontanamente, imposto una decisione. D’altronde, da presidente, sa che ha una garanzia totale a livello tecnico ed una competenza inferiore a Peppe. E’ da qui che nasce la sua fiducia. C’è un solo capitolo tecnico – afferma – su cui Enzo ha l’ultima parola: la scelta dell’allenatore. Credo, come lui, che il coach non vada scelto solo per un merito tecnico, ma dopo aver capito che persona è”.

Anche Pozzecco promuove la linea europea scelta dalla Betaland. Per lui è Sindoni è la scelta più redditizia

Capo d’Orlando è adesso a 28 punti, a -2 da Venezia ed Avellino e da quella quota che coach Di Carlo crede significhi la matematica certezza di disputare i playoff. Specie nell’anno che ha segnato l’avvento della politica europeista, sembra che nella Betaland non ci sia alcun errore: “E’ proprio vero, non hanno commesso nessun errore. Vedere Capo a ridosso della seconda sarebbe uno stupore unico, – direbbe Pozzecco – ma per me non lo è più di tanto perché so come si lavora lì. Tra l’altro hanno avuto infortuni pesanti durante la stagione, hanno rinunciato a Bruno Fitipaldo per consentire al ragazzo di fare l’EuroLega, facendo una scelta giustissima. Hanno costruito una squadra molto forte in partenza e per di più sono dovuti correre ai ripari in corsa per non essere danneggiati da tante situazioni. Hanno ricostruito una squadra altrettanto forte  ed hanno davvero sbagliato zero, con un budget che è quello che è. Poi io e Peppe parliamo molto spesso della scelta di costruire una squadra europea e non avevo dubbi che questa filosofia avrebbe pagato . Ne discutevamo fin da quando abbiamo ottenuto la promozione in A1 – rivela – e solo nel primo anno abbiamo fatto altre scelte. In quella stagione, io a Varese e lui a Capo d’Orlando, pensavamo ci fosse bisogno di più talento tecnico e fisico, di una squadra filoamericana per salvarci. E’ durata poco, perché ci siamo resi conto che fosse più logico, più giusto, più redditizio costruire una squadra più europea.  

Rolando Howell si è spento a 34 anni nello scorso giugno

La vera nota dolente dei tempi più recenti è però la scomparsa di Rolando Howell, che esordì in carriera con la canotta biancazzurra proprio insieme al Poz, che lo ricorda così: “Si fa sempre della retorica quando una persona non c’è più. Dire che Rolando era un bravo ragazzo, un grande giocatore sarebbe solo la pura e semplice verità. Voglio ricordarlo con un episodio che fa capire che persona era. Eravamo a giocare a Rieti, sotto di 10 punti. Mancavano meno di due minuti alla sirena – racconta – ed in quel tempo riusciamo ad arrivare ad un tiro dalla vittoria. Ci provo da tre punti, sbaglio, a due secondi dalla fine guadagniamo fallo, mettiamo due liberi dalla lunetta ed andiamo all’over time. Dire Rieti è come dire Roma, quindi dovevamo tutti prendere l’aereo ed il supplementare voleva dire che l’avevamo perso. Nessuno aveva avuto la lucidità, o forse la follia di pensare a quello. Quando rientriamo in campo però lui ci dice “guys, abbiamo perso l’aereo! Stasera facciamo serata a Roma”. Siamo tutti contenti, ma dico a Rolando che fare serata a Roma senza vincere era una stronzata… e che in quel caso avrei pagato io. Abbiamo vinto facile e poi passato una serata indimenticabile. Rolando era questo, quello a cui piaceva divertirsi insieme e che sapeva quanto fosse importante per noi giocare una buona pallacanestro. Avevamo del talento, – conclude – ma eravamo totalmente pazzi ed è per questo che siamo stati dei compagni di squadra perfetti”.      

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