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Salerno: “Nulla è perduto, vogliamo salvare il Palermo. A Messina un’epopea, vinto anche il destino”

Quando esordì nel mondo del calcio il suo attuale presidente non era ancora nato. Correva l’anno 1983 ed a Matera, in una squadra di Serie C2, cominciava allora la carriera dirigenziale di Nicola Salerno. Negli USA, solo a qualche settimana di distanza, nasceva invece il futuro showman ed imprenditore italo-americano Paul Baccaglini.
34 anni dopo – ed è storia recente – ha preso corpo l’ossimoro tra il più giovane presidente della Serie A ed uno dei più esperti direttori sportivi italiani, entrambi in sella ad un Palermo che si aggrappa alle residue speranze di salvezza, tra il bello ed il cattivo tempo mossi sempre e comunque da Maurizio Zamparini.

Paul Baccaglini è il nuovo presidente del Palermo. Maurizio Zamparini cede il testimone dopo 15 anni

E l’ultimo atto del doge veneziano trapiantato in Sicilia, prima di svestire i panni del protagonista, è stato così quello di aver unito – forse inconsapevolmente – il diavolo e l’acqua santa. Adesso Nicola Salerno, quell’ex ds del Messina partito dalla “città dei Sassi”, che contattò i calciatori tramite telefoni fissi e telegrammi, in un calcio in cui si parlava ancora della briscola tra Sandro Pertini ed Enzo Bearzot, lavora nel club di un ex inviato de “Le Iene”, che “punta alla Champions League in pochi anni“ ma “non sa nulla di calcio” – secondo due dichiarazioni di Zamparini – e che si presenta in conferenza stampa mostrando un tatuaggio, quello che sul capezzolo ritrae l’aquilotto rosanero simbolo della società che ha appena acquistato.

Se la cronaca può dunque – in questo caso – risolversi in un grande “chi l’avrebbe mai detto”, nel calcio resta sempre il campo, quello di parla proprio Nicola Salerno. Lui, che l’esperienza più lunga e forse più esaltante di tutta una carriera l’ha vissuta in riva allo Stretto, è oggi concentrato sulle possibilità di salvezza che restano al “suo” Palermo, con un occhio al recente passaggio di proprietà:

Nicola Salerno è stato direttore sportivo del Messina tra il 1997 ed il 2002

Il presidente è già al lavoro e Zamparini gli è accanto. Proprio lui – afferma Salerno ai microfoni di Messina Sportiva – ci aggiornerà sull’evolversi della situazione, per capire se ci sarà o meno il closing (il 100% del pacchetto azionario sarà spostato da Zamparini ad una nuova società proprio tramite Baccaglini, ndr). Adesso l’unica cosa che ci resta da fare è pensare a lavorare, dopo le due occasioni buttate al vento contro Sampdoria e Torino. Abbiamo avuto per due volte il risultato in mano ed altrettante siamo stati puniti: è sempre lo stesso film, che troppo spesso rivede  chi deve sudare una salvezza. Comunque ci restano ancora delle chance – commenta – e spero che l’ultima gara, contro l’Empoli, possa rivelarsi uno spareggio. Dobbiamo solo credere fino in fondo nelle possibilità di salvare questa stagione”.

Salerno e Diego Lopez insieme alla presentazione del tecnico

Salerno il suo campionato lo ha però cominciato il 16 gennaio. Zamparini chiamò infatti il ds nel bel mezzo del calciomercato, con una classifica già parecchio compromessa ed un allenatore, Eugenio Corini, pronto alle dimissioni dopo essere sbottato in conferenza stampa: “Sono arrivato qui nel momento utile a mettere dentro i giocatori che potevo e qualche settimana più tardi mi sono ritrovato a scegliere il nuovo allenatore, mister Lopez, insieme al presidente. Anche qui – spiega –  lavoro come faccio da una vita, cercando di aggiustare alcuni problemi nati strada facendo. Il tempo dirà se la mia azione è stata efficace. Chiaramente la situazione non è semplice, però non è detto che non possiamo farcela. Quanto al futuro, il presidente mi ha dato per contratto termini un po’ più lunghi (un anno e mezzo, ndr) per permettermi di lavorare comunque vadano le cose. Quando sono arrivato il Palermo era in difficoltà quanto alla classifica, ma non fuggo dalle responsabilità – ammonisce -. Adesso sono io il direttore sportivo e me le assumo così come sempre da quando faccio calcio”.

Salerno è tra gli autori della scalata del Messina dalla Serie D alla Serie B

Ma tornando alle radici, è forse stata l’esperienza alla direzione dell’ACR Messina che ha indirizzato la carriera del dirigente lucano. Le formazioni che tra il 1997 ed il 2002 lanciarono la biancoscudata dalla Serie D alla Serie B le ha costruite proprio lui, che ricorda passo dopo passo le imprese di un quinquennio magico: “Abbiamo raggiunto prestissimo l’obiettivo che sognavamo. Quella di Messina è stata un’esperienza esaltante, sebbene – ricorda – sembrava difficile potesse esserlo ad ogni grossa negatività che abbiamo incontrato. La finale playoff persa a Lecce, contro il Benevento, il rigore sbagliato ad Avellino, all’8’ e riparato vincendo col Catania, ci hanno messo a dura prova, ma quanto è stato bello poter tagliare il traguardo dopo tutte queste sofferenze. L’ultimo ostacolo sono stati quaranta giorni di fatica, ma quel Messina non si sarebbe mai fermato. Anche in B abbiamo fatto bene, seppure un girone di ritorno deficitario ci abbia dato qualche affanno di troppo. Insomma,abbiamo compiuto la nostra missione – dice – ed è stato proprio su quel punto, all’apice, che ho lasciato Messina, ma qui mi fermo e preferisco non parlarne”.

Franco Proto
Per Salerno ci sono delle analogie tra la figura di Emanuele Aliotta, “il presidente più amato” ed il passato calcistico di Franco Proto (foto Alessandro Denaro)

Nel 2002 Salerno passò al Catania, ma prima lo stesso Messina avrebbe cambiato manico. In quell’estate la famiglia Franza rilevò la società dalle mani di Emanuele Aliotta, l’uomo di cui la città dello Stretto è tornata a parlare nelle scorse settimane, come del presidente più amato, salutando l’avvento di Franco Proto: “Quella di Aliotta è stata un’epopea – commenta Salerno -. Si perde il conto di quei campionati vinti e così, su due piedi, non ricordo nemmeno se prima del mio arrivo il suo Messina avesse trionfato in Eccellenza prima che arrivassi io. Aliotta è riuscito a fare quello che nessuno riesce a fare nel mondo del calcio ed in più si è fatto amare, è passato alla storia come una persona stimatissima. Che dire di Franco Proto – afferma –  se non che è un personaggio molto simile. L’Atletico Catania, la sua creatura, ha avuto enorme successo e gli ha conferito tanto valore agli occhi di tutti. I fatti dicono che è una persona seria, competente ed oltretutto si è circondato di gente molto competente, che ha una rilevanza in ambito calcistico. Cito per tutti Marcello Pitino,con cui abbiamo lavorato spalla a spalla a Catania e di cui posso garantire onestà e competenza”.

Buonocore e Marra
Buonocore e Marra? Quest’anno si sarebbero fatti trasportare dal cuore (foto Ciccio Saya)

E tornando a quel passato, cosa sarebbe stato il quinquennio di Salerno senza Sasà Marra ed Enrico Buonocore, icone di quel Messina e quest’anno allenatore e vice che hanno perso una scommessa col destino che era più di un “ritorno al futuro”: “Si sono sicuramente fatti prendere dal cuore – afferma -. Sono tornati a Messina in un momento difficile, prendendo al volo una squadra già bell’e fatta con evidenti carenze di organico. Non darei nessuna colpa a loro  per l’inizio in salita e – commenta  – credo nessuno, sulla piazza, possa puntare il dito contro di loro. Questi due uomini hanno dato ginocchia, caviglie, sangue, agonismo per il Messina e non ritengo che questa esperienza possa scalfire l’immagine di due icone, due calciatori storicamente amati dai tifosi”.

La stagione in corso è comunque tra le più travagliate del professionismo siciliano, che rischia la retrocessione di Palermo e Trapani ed escluse la favola Siracusa e la stoica resistenza dell’Akragas, fa parlare di sé anche per lo psicodramma che si sta consumando a Catania: “Il Trapani sta facendo una rimonta incredibile – afferma Salerno -. L’avvento del direttore Salvatori  e del suo staff sta permettendo ai granata di fare cose grandissime, esattamente quelle che servivano per cambiare un destino già segnato. Mister Calori è una grande persona e oggi credo che questa salvezza non sia poi così lontana. Quanto al Catania, che guaio è stato quella penalizzazione. Sette punti in meno- riflette – danno già una direzione ad un campionato ed immagino quanto sia costato giocare inseguendo piuttosto che ritrovandosi in alta classifica. Alla fine di questo percorso ad ostacoli ci sono comunque i playoff e chissà che lì la forza della piazza non possa esaltare quella della squadra”.

Carlo Ancelotti ha elogiato i colleghi italiani nell’intervista di Capodanno alla “Rosa”

Nicola Salerno è comunque di ritorno da due esperienze nel Regno Unito, quelle che lo hanno visto lavorare per Leeds e Watford. La competenza degli italiani, all’estero, resta merce pregiata, come afferma Carlo Ancelotti  nell’intervista scelta dalla “Gazzetta dello Sport” per aprire il 2017, in cui l’allenatore del Bayern Monaco sostiene gli italiani, specie in panchina, siano sempre dei brutti clienti: “Ancelotti ha pienamente ragione. Gli italiani all’estero – sottolinea Salerno – dovranno anche adattarsi alle esigenze di ciò che affrontano, vedi un calcio inglese che è più fisico, offensivo, più garibaldino, ma la loro esperienza è un valore aggiunto. Se si hanno calciatori adeguati, che siano inglesi o alcuni degli stranieri di livello che popolano la Premier League, un italiano spicca subito – dice -. Non è un luogo comune: i nostri allenatori sono davvero i migliori nel gestire le squadre da un punto di vista tattico.

E quanto ai dossier sul tavolo della Federcalcio, dopo la rielezione di Carlo Tavecchio, il ds del Palermo conferma la diffusa speranza che sia apportato qualche correttivo, anche se la vera rivoluzione è culturale, partendo dai giovani:
Si parla di Serie A a 18 squadre, ma non so davvero se è una soluzione possibile. Sarebbe un ritorno all’antico – commenta – ma il calcio italiano ha delle difficoltà a supportare l’attuale numero di società professionistiche. E’ difficile riuscire a gestire 44 squadre tra A e B e si fa confusione anche coi diritti televisivi. Sono in Italia da un mese e mezzo e così mi tocca anche rientrare nella mentalità, nel dibattito sulle riforme delle nostre leghe. C’è comunque poco da cambiare: se Juventus, Roma e Napoli possono giocarsela con tutti a livello europeo, anche con le squadre inglesi che conosco meglio e se riusciamo sul campo ad occultare il gap economico, il nostro calcio è pur sempre di primo piano. Quello che penso da tempo – conclude – è che dovremmo migliorare la cura dei vivai, che ad esempio all’estero sono molto più considerati. Dobbiamo migliorare professionalmente da questo punto di vista, ne va dei nostri risultati. L’Atalanta, ad esempio, ci ha dimostrato cosa vuol dire”.

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