Dall’illusione di poter essere l’uomo della rinascita peloritana al travagliato addio con l’ ambiente che gli ha dato tanto da giocatore, il tutto nel giro di pochi mesi. Si è consumata così la seconda avventura di Antonio Obbedio a Messina. Un’esperienza non certo esaltante, soprattutto se paragonata con la prima, vissuta con la maglia numero 8 sulle spalle, a cavallo tra il 1999 e il 2002. In quel triennio Obbedio ha catturato l’amore dei tifosi peloritani, divenendo uno dei simboli dell’era Aliotta: dalla C2 alla B e poi la salvezza tra i cadetti.
Il ritorno in quella che forse ha rappresentato la piazza più importante della sua carriera agonistica si è verificato l’estate scorsa, quando all’ex direttore sportivo della Lucchese era toccato il compito di realizzare l’ennesima rivoluzione dell’era Sciotto e la sua presenza sembrava essere quella garanzia da tempo richiesta dalla tifoseria, che lamentava l’insufficiente presenza di veri “uomini di calcio” all’interno del sodalizio biancoscudato.
A completare il quadro l’ingresso in società dell’ex gruppo dirigenziale del Camaro. Il campo, però, ha fornito subito risposte impietose, con l’Acr Messina che nelle prime tre giornate non ha racimolato neanche un punto, dopo essere stato eliminato dalla Coppa Italia all’esordio. A farne le spese è stato Michele Cazzarò, il tecnico scelto dal direttore sportivo. Tra settembre e ottobre si è consumata una lenta e travagliata separazione tra la società e Obbedio, culminato con l’esonero del dirigente, arrivato lo scorso 23 ottobre.
A sei mesi esatti da quella decisione, Obbedio rivendica la bontà del suo lavoro: “Nel calcio purtroppo bisogna capire che quando si azzera tutto ogni anno e si rivoluziona la squadra ci sono dei rischi. Nonostante tutto, al momento del mio esonero, l’Acr Messina si trovava ad appena tre lunghezze dal secondo posto: non mi pare che la classifica fosse così impietosa. Se ogni anno bisogna ripartire da zero, pretendendo di ottenere tutto e subito, si rischia di andare incontro a fallimenti sportivi. Servono pazienza e fiducia nel lavoro dei propri collaboratori, fattori che sono mancati all’Acr durante la mia permanenza. Il Messina per me viene prima di tutto, è una piazza che amo e che mi ha dato tanto e quanto accaduto non scalfisce questo sentimento. Le sconfitte durante una fase di costruzione possono capitare, il calcio è pieno di storie di squadre o di allenatori che hanno fatto grandi cose dopo aver perso le prime quattro o cinque giornate. In quei casi bisogna fare gruppo, avere fiducia in quello che si fa, invece di sfasciare tutto per l’ennesima volta”.
L’analisi di Obbedio prosegue: “Esempi di questo tipo li abbiamo anche nel campionato di serie D. Il Savoia, ad esempio, non è partito bene nonostante sia una piazza importante, ma l’allenatore e i dirigenti sono stati confermati e stanno facendo un grande campionato, ad un certo punto della stagione erano a tre punti dal Palermo. Mi preme sottolineare anche l’esempio del Fc Messina, società costruita dal nulla con giocatori di valore e dirigenti capaci. Sono stati bravi a non abbattersi alle prime difficoltà e a saper scegliere il sostituto di Costantino. Faccio i complimenti a Rocco Arena per quello che sta facendo, perché non era facile. A Messina c’è molta diffidenza, ma è comprensibile per via dei tanti personaggi discutibili che si sono susseguiti nell’ultimo decennio”.
In questi giorni, è lecito guardare al calcio a 360 gradi per capire se e come si rimetterà in moto la macchina dello sport più seguito dagli italiani. Se in serie C soltanto tre società su 60 non sono in regola con i pagamenti degli stipendi, la situazione è ancora più complessa in serie D, dove secondo indiscrezioni addirittura un centinaio su 166 sarebbero ferme ai versamenti dei rimborsi di novembre-dicembre.
Uno scenario che per Obbedio appare abbastanza chiaro: “Credo che inevitabilmente si procederà con una vera e propria selezione naturale delle società e naturalmente ognuno poi cercherà di portare acqua al proprio mulino. In serie C ci sono molte società virtuose che da questa situazione ne usciranno più forti: mi riferisco al Sud Tirol, al Pontedera, alla Pro Vercelli, all’Alessandria, ma anche alla Sicula Leonzio, che sono realtà che non hanno fatto il salto più lungo della gamba e hanno speso per quanto potevano spendere. Anzi, forse sono state così previdenti da lasciare qualcosa per l’inverno del calcio, che ora è arrivato. Chi ha saputo lavorare con oculatezza e saggezza avrà futuro. Dall’altro lato ci saranno quelle società che vorranno puntare sullo stop dei campionati per evitare di andare incontro alle conseguenze dei propri errori”.
Obbedio ribadisce come i campionati debbano ripartire: “Già da qualche giorno si parla di rimettere in moto il Paese. Non riesco a capire perché il calcio debba continuare a restare fermo. C’è anzi assoluta necessità di riavviare la macchina del calcio, ultimando i campionati sul campo, applicando tutti i protocolli possibili per salvaguardare la salute di calciatori e dirigenti. Non possiamo permettere di tenere ancora fermo il nostro sistema calcistico e sportivo. I dubbi sull’eventuale ripartenza ci saranno anche a settembre e dopo tutto molti virologi hanno lanciato l’allarme circa una possibile seconda ondata dell’epidemia ad ottobre. Non possiamo certamente permetterci un ulteriore stop, né tanto meno aspettare un vaccino per la cui efficacia ci toccherà aspettare ancora diverso tempo. Perciò la cosa più logica da fare è riprendere a giocare con le dovute cautele”.