Si è concluso con la tradizionale passeggiata nel cuore di Parigi, una delle città più affascinanti al mondo, lo straordinario Tour de France di Vincenzo Nibali. Per il corridore originario di Messina l’ennesimo trionfo di una carriera che è già inimitabile. Lo “squalo dello Stretto” è entrato nella leggenda, conquistando la terza grande corsa a tappe, dopo la Vuelta di Spagna nel 2010 ed il Giro d’Italia nel 2013.
Pensare che il 2014 era iniziato in salita, con un pesante “zero” alla casella vittorie dopo metà stagione e le conseguenti polemiche, per la verità amplificate più dalla stampa che dall’Astana, per il presunto calo di rendimento del talento siciliano. Invece ancora una volta Nibali ha mostrato gli artigli, anzi i denti, quello dello “squalo”, dando il massimo proprio nel momento più delicato.
Dapprima il titolo italiano, mai centrato in precedenza e celebrato anche per allentare la tensione con un pianto liberatorio, poi la straordinaria continuità di rendimento mostrata alla Grande Boucle. Una corsa letteralmente dominata, dall’inizio alla fine, mantenendo il simbolo del primato al termine di 19 delle 21 frazioni. Una dimostrazione di superiorità imbarazzate, come d’altronde testimoniano i distacchi abissali rifilati a tutti gli altri concorrenti. E neanche le pesantissime defezioni di Chris Froome ed Alberto Contador, anche loro costretti a rincorrere nella prima settimana di gare, non attenuano comunque i grandi meriti del corridore messinese, che avrà magari modo di rinnovare in futuro la sfida ad altri due mostri sacri del ciclismo mondiale, concedendogli quindi l’attesa rivincita.
Ma il Tour partito dall’Inghilterra doveva essere comunque quello di Vincenzo, capace di griffarlo fin dalla seconda tappa, a Sheffield, dove negli ultimi due chilometri ha piazzato la zampata vincente. Nella quinta frazione, caratterizzata dal ritiro di Froome, sul fango e sul pavè, ad Arenberg, ha guadagnato 2’35” su Contador. Nella decima tappa, sul Vosgi, a 3 km da La Planche des Belles Filles, la riconquista della maglia gialla appena perduta ed il contemporaneo ritiro dello spagnolo, l’ultimo rivale in grado di contendergli davvero il successo finale. Infine il sigillo sulle Alpi e sui Pirenei, quelli che d’altronde avevano consacrato il mito di Marco Pantani, l’ultimo italiano ad aggiudicarsi il Tour, sedici anni prima, mentre nell’ultimo mezzo secolo ci era riuscito oltre al “pirata” ed allo “squalo” il solo Felice Gimondi. A Clamrousse e sull’Hautacam è emerso che davvero nessuno avrebbe potuto contrastarlo in salita, un po’ come avviene tradizionalmente anche in discesa. Infine la grande prova a cronometro, a conferma che perfino nella corsa contro il tempo il messinese era davvero imprendibile.
Determinante si è rivelato anche il sostegno della Astana, l’ambiziosa e ricchissima formazione kazaka, che ha dimostrato di essere la squadra più completa e coesa, come testimonia l’abbraccio di Michele Scarponi subito dopo il traguardo conclusivo di Parigi. La città dello Stretto può ancora una volta godersi le lodi raccolte da uno dei pochi messinesi in grado costantemente di stupire, sorprendere, stravincere, mantenendo il sorriso e l’umiltà. Una straordinaria normalità, che cozza con gli ineguagliabili risultati sportivi raggiunti, che valgono ancora di più anche per la sobrietà con la quale vengono celebrati.