È in programma nel week-end, tra giovedì e sabato, il processo di secondo grado scaturito dall’inchiesta “Dirty Soccer” portata avanti dalla Procura di Catanzaro. A Roma, davanti alla Corte Federale d’Appello, si discuteranno le posizioni di 17 società (12 quelle penalizzate in classifica) e di 38 tesserati condannati in primo grado. Tra loro anche quella dell’ormai ex tecnico del Messina Arturo Di Napoli. Ad ospitare il nuovo dibattimento saranno ancora una volta i locali dell’NH Vittorio Veneto di Roma.
I legali di “Re Artù”, il bolognese Mattia Grassani ed il catanzarese Antonio Fazio, sperano in una riduzione della pesante pena inflitta ad inizio mese: quattro anni di squalifica e 35.000 € di ammenda per illecito sportivo aggravato, in riferimento alla gara del 23 novembre 2014 vinta da L’Aquila contro il Savona, guidato all’epoca proprio da Di Napoli.
Secondo gli avvocati il Tribunale ha riconosciuto e ha già dato per potenzialmente valida la ricostruzione alternativa delle difese, che si basava principalmente sull’analisi dei tabulati telefonici che mostravano i fitti contatti tra l’ex bandiera del Messina ed il responsabile dell’area tecnica de L’Aquila Ercole Di Nicola, elemento chiave della vicenda, già condannato in altri procedimenti, in riferimento all’acquisto ed al pagamento degli stipendi dovuti a Gizzi, acquistato dai liguri insieme a Sanna ed all’attuale giallorosso Bramati.
La linea difensiva non è stata però ritenuta totalmente convincente per via di alcune circostanze. Il Tribunale Nazionale Federale ha evidenziato infatti che non è stato chiarito il motivo per il quale all’incontro tra lo stesso Di Napoli e Massimiliano Solidoro, collaboratore tecnico del Savona, fosse presente anche il presunto finanziatore albanese Edmond Nerjaku. “Con lui il nostro assistito non ha mai avuto contatti o legami – tiene ad evidenziare Antonio Fazio – Non si può basare una sentenza di condanna sulla semplice presenza di un soggetto in un dato luogo. Di Napoli ha appreso la sua reale identità soltanto dalle carte processuali”.
La contestuale chiusura delle indagini condotte a Catanzaro ha consentito agli avvocati di accedere agli atti della Procura. “A differenza di quanto avvenuto in primo grado – ha aggiunto Fazio – potremo fornire ulteriore adeguata documentazione a supporto delle nostre tesi. A nostro avviso le carte dimostrano che la condanna appare infondata e che l’illecito può quindi essere messo in discussione. La Corte Federale d’Appello dovrà analizzare questi elementi e tenere conto della loro rilevanza”.
Grassani e Fazio, supportati in prima battuta anche dal legale messinese Giovanni Villari, in queste tre settimane hanno studiato a fondo le intercettazioni allegate al fascicolo, alla ricerca di spunti favorevoli al loro assistito e confidano adesso in una derubricazione del reato contestato in una semplice omessa denuncia, con l’obiettivo di attenuare le accuse ed ottenere una riduzione significativa della pesante squalifica inflitta lo scorso primo febbraio.
In aula sono attese la nuova requisitoria della Procura Federale, rappresentata da Stefano Palazzi e dal suo vice Gioacchino Tornatore, che in primo grado chiese quattro anni di squalifica e ben 60.000 € di ammenda – poi dimezzata -, le argomentazioni dei difensori ed infine la pubblicazione della sentenza, che comunque non arriverà nel week-end. In primo grado furono addirittura necessarie tre settimane prima della quantificazione delle pene. Adesso i tempi saranno più ristretti.