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Lo Monaco intona il consueto ritornello. Ma è un fallimento che brucia

“Quando si retrocede a farlo è anzitutto la società e per questo il primo responsabile è il sottoscritto”. E’ uno dei passaggi chiave della lunghissima conferenza stampa nella quale Pietro Lo Monaco ha confermato il disimpegno dall’ACR Messina. Un’assunzione di responsabilità, giunta a dieci giorni di distanza dalla gara dei playout con la Reggina, alla quale, nello specifico, non è però seguita alcuna ammissione di colpe. Scuse? Assolutamente no. Lo Monaco ha replicato duramente sul tema, non ritenendo di doverle rivolgere nemmeno a quei 400-500 tifosi che ha indicato come i componenti dello zoccolo duro, sin dai tempi della Serie D. La risposta negativa della città, per tre anni, è stato il principale leit-motiv nelle sue analisi. Ma i dati? In 1.700 si sono abbonati in estate praticamente a “scatola chiusa”, dopo la conquista della Lega Pro unica, da primi in classifica, ma anche dovendo tenere conto di una rosa stravolta e di un mercato che non è mai decollato, poiché lo spazio dominante è stato riservato alle polemiche sui concerti di Vasco Rossi e Jovanotti.

Il patron Lo Monaco sugli spalti (foto Paolo Furrer)
Il patron Lo Monaco sugli spalti (foto Paolo Furrer)

Soltanto il 27 luglio – a dieci giorni dal primo impegno ufficiale – il Messina ha cominciato le fatiche a Camigliatello Silano, in netto ritardo rispetto alle contendenti, per un ritiro pre-campionato che era stato in precedenza più volte rimandato. E’ solo uno dei tantissimi errori gestionali commessi dall’ACR sia a livello organizzativo che in ambito di comunicazione e marketing, perché un vero e proprio coinvolgimento della piazza passa da molteplici aspetti. Dal “Messina point”, annunciato nell’estate 2013 e mai aperto, a tanti incidenti di percorso, quali la conferenza “fantasma” per la presentazione di Bjelanovic o i numerosissimi silenzi stampa.

I tifosi del Messina in Curva Sud
I tifosi del Messina in Curva Sud

Salernitana a parte, con la squadra di Lotito che, da favorita designata, ha confermato sul campo l’indiscussa superiorità, facendo registrare un pubblico sui 10.000 di media all’Arechi, i numeri degli spettatori per il Messina sono perfettamente in linea con le altre, nonostante un torneo nel quale Corona e compagni hanno vinto appena cinque incontri casalinghi su venti disputati. In 2.240 di media al “San Filippo”, contro gli oltre 4.000 di Matera e Lecce e i circa 3.000 di Foggia, Benevento e Casertana. Tutte formazioni che, a differenza dei peloritani, hanno disputato un campionato di vertice. L’attaccamento, da solo, non può bastare, senza un adeguato riscontro in termini di risultati agonistici. Semplicemente la dura legge del calcio, abbinata alle problematiche di un pallone che, in Italia, ha perso appassionati da Nord a Sud.  Il presidente giallorosso ha definito ironicamente “eroi” e “caratterialmente da Prima Categoria” i giocatori della rosa che ha chiuso la stagione con un’amara – e secondo noi inevitabile – retrocessione. Delusione costituita da un rendimento al di sotto delle aspettative oppure piena sopravvalutazione degli elementi ingaggiati?

Il tecnico Gianluca Grassadonia
L’ex tecnico Gianluca Grassadonia

Nessun rimpianto per le partenze dei vari protagonisti della cavalcata in Seconda Divisione. Caturano e De Vena – 28 reti in due con Melfi e Aversa Normanna – qui non giocavano e l’allenatore aveva nei loro confronti considerazione pari a zero” la replica del presidente. Come a dire, non è stata propriamente una scelta della società la rivoluzione avvenuta in estate, ma va attribuita allo staff tecnico. Ecco l’attacco frontale a Gianluca Grassadonia, esonerato nello scorso marzo, la cui colpa principale resta quella di non essersi dimesso in estate, avallando invece un mercato folle.

Anche perché, lo stesso allenatore salernitano, aveva così commentato alla nostra testata nel giugno 2014: “Sarà un Messina sensibilmente rinnovato, della vecchia squadra resteranno davvero in pochi. E’ la società ad operare le sue scelte, io mi limito a fornire le caratteristiche dei vari giocatori e ad allenare il gruppo che mi viene messo a disposizione. Ho grande fiducia nel lavoro della dirigenza, ma occorrerà iniziare il ritiro il 13 luglio (sarebbe poi slittato al 27, ndr) con una rosa completa almeno all’80%, altrimenti lavoreremmo male”. Grassadonia ha pagato anche l’aver voluto a tutti i costi alcuni suoi fedelissimi, vedi Vincenzo Pepe e Orlando, ma l’organico a sua disposizione ha presto mostrato nella globalità tutte le sue lacune, sin dalla doppia batosta casalinga con Matera (0-5) e Casertana (1-5), quando era ancora settembre e ci sarebbe stato tutto il tempo per rimediare. Per il rispetto dell’età media, imposto dalla società, chi sedeva in panchina ha inoltre dovuto compiere i salti mortali per stilare di settimana in settimana la formazione.

Messina-Reggina
Stefani, Silvestri e Damonte in copertura (foto Paolo Furrer)

Curriculum alla mano Altobello, Stefani e Damonte (solo per citarne alcuni), sostiene il patron, erano elementi sui quali poter puntare ad occhi chiusi. Il campo ha però ben presto detto diversamente. Nemmeno sugli ingaggi nel mercato invernale di Rullo e De Paula, due oggetti misteriosi, Lo Monaco ha recitato il mea culpa, preferendo sottolineare il valore di Berardi, Mancini e Ciciretti. Il patron giallorosso ha giustificato il totale distacco degli ultimi mesi con la volontà già annunciata di lasciare il 30 giugno a causa di una disaffezione che lo ha portato a non voler nemmeno assistere, per sua stessa ammissione, alle partite di quella che era la sua creatura.

Lo Monaco
Niki Patti e Pietro Lo Monaco al Comune

Pietro Lo Monaco – il quale giovedì sera sarà ospite negli studi di Sportitalia nel corso della trasmissione condotta da Michele Criscitiello – ha evidentemente preferito in questi mesi parlare di altro, dal Milan affidato a Mihajlovic alla Fiorentina di Montella. Unica eccezione la conferenza di ieri. Lascia il Messina in D, dove lo aveva rilevato, senza aver esplicitamente ammesso le proprie colpe o avendolo fatto comunque solo in parte. La retrocessione maturata al culmine dei playout con la Reggina, marchio che resterà indelebile, porta invece la sua firma. Dopo essere stato accolto tra ali di folla a Palazzo Zanca, quando assunse la guida del club appena tre anni fa per “un atto d’amore”, il ciclo si è chiuso davvero nel peggiore dei modi.

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