Rivoluzioni non ce ne sono state, soltanto un sorpasso in classifica generale: Mikel Landa ha scavalcato Primoz Roglic, salendo sul gradino più basso del podio e buttando giù il rivale sloveno. Tanto rumore per nulla, al termine dell’atteso tappone dolomitico, ma soltanto qualche schiaffo (compresi quelli inferti da Miguel Angel Lopez a un tizio che lo ha fatto cadere, annullando sul nascere un tentativo di piccolo ribaltone) e tanta, tanta stanchezza.
Hanno tremato tutti e sudato tanto, per il caldo finalmente, compreso Vincenzo Nibali; non Richard Carapaz, che si presenta a Verona in maglia rosa e sarà molto difficile per lo “squalo dello Stretto” secondo in generale annullare gli attuali 114 secondi di distacco. Se non ci saranno clamorosi colpi di scena (come la caduta sui sampietrini di Denis Menchov nel 2009), domenica verrà celebrata la prima vittoria ecuadoriana al Giro d’Italia, 110 anni dopo la prima edizione disputata nel 1909.
E sarà la prima volta che nell’Arena di Verona non trionferà un italiano, sulle orme di Giovanni Battaglin, in rosa nel 1981, Francesco Moser nel 1984 e Ivan Basso nel 2010. La penultima tappa, vinta con un guizzo da Pello Bilbao sul Monte Avena, ha regalato emozioni col contagocce, concentrandole tutte sull’ultima parte di percorso, ma distillandole anche sulla salita del Passo Manghen, nuova “cima Coppi” dopo l’annullamento del Gavia, che Masnada ha conquistato per distacco, salvo poi perdersi fino all’arrivo.
E’ sulla salita più temuta, ma troppo lontana dall’arrivo, perché arrivava dopo 78 dei 194 km della tappa, che Nibali accusa la seconda defaillance del Giro, perdendo contatto dal trio latino Carapaz-Landa-Lopez: gli scalatori fanno il diavolo a quattro e mettono in difficoltà il messinese, in compagnia di Roglic. L’esperienza aiuta tanto il corridore messinese, che non commette l’errore di accettare la sfida pedale a pedale, ma procede col proprio passo e riesce a rientrare sulla successiva discesa.
È un segnale, chiaro, che Carapaz è inattaccabile e che Nibali farebbe meglio a guardarsi le spalle, invece di andare all’assalto come fece sul Mortirolo, di cui paga a tutt’oggi le conseguenze di uno sforzo forse sovrumano. Fra un tentativo di fuga e l’altro, con Giulio Ciccone che si cuce addosso la maglia azzurra di miglior scalatore, conquistando anche la vetta del Passo Rolle, la tanto attesa resa dei conti arriva fra le salite del Croce d’Aune e del Monte Avena, dove è posto il traguardo finale.
I soliti noti, vale a dire Landa, Carapaz, Nibali e Lopez, vanno a tutta, ma il colombiano atterra sull’asfalto dopo il contatto con un tizio (probabilmente ubriaco) che viene preso a schiaffi dallo stesso corridore. Una scena di cui non si ha memoria. Lopez si attarda, Roglic, spinto in salita da un altro sedicente tifoso (lo sloveno si vede affibbiare 10″ di penalità nella generale), si stacca e domenica sarà costretto a fare i conti col cronometro – lui che, su due prove contro il tempo, ne ha vinte altrettante – per risalire sul podio e spodestare Landa dal gradino più basso.
Nessuna chance, salvo imprevisti, per Nibali, che si è trovato sulla propria strada un Carapaz praticamente perfetto e ha pagato qualche screzio personale di troppo con lo stesso Roglic, avversario dal carattere non facile, nemmeno troppo simpatico e anche lui alla fine rimasto con un pugno di mosche in mano. Nibali almeno un paio di Giro d’Italia li ha vinti, lo sloveno no. Mentre un annunciato protagonista della vigilia, Simon Yates, accusa otto minuti di ritardo dal leader, e l’atteso Tom Dumoulin ha salutato in fretta la compagnia. Ecco perché l’ennesimo podio nell’infinita carriera dello “squalo” vale comunque tantissimo.
La Classifica generale aggiornata. 1. Richard Carapaz (Ecu), 2. Vincenzo Nibali (Ita) a 01’54”, 3. Mikel Landa (Spa) a 02’53”, 4. Primoz Roglic (Slo) a 03’16”, 5. Bauke Mollema (Ola) a 05’51”, 6. Miguel Angel (Col) a 07’18”, 7. Rafal Majka (Pol) a 07’28”, 8. Simon Yates (Gbr) a 08’01”, 9. Pavel Sivakov (Rus) a 09’11”, 10. Ilnur Zakarin (Rus) a 12’50”.