Velocità, dinamismo, imprevedibilità. Numero 7 sulla maglia, in quel 2003/2004 Gigi Lavecchia ha macinato una quantità indescrivibile di chilometri su e giù per il campo. Ripensando alla sera del 5 giugno, al “Celeste” gremito e al sogno diventato realtà, l’esterno destro nato a Torino, sbarcato in riva allo Stretto dalla Juventus, racconta a vent’anni di distanza quei momenti: “Fu l’apoteosi della gioia. Di quella sera ricordo soprattutto l’inizio e il fischio finale della partita. E poi Maria Grazia Cucinotta sugli spalti, Pierluigi Collina ad arbitrare, livelli altissimi per una Serie B. Da brividi. Sono state emozioni uniche, difficili da descrivere a parole. Erano 40 anni che il Messina non andava in A, per questo è stata più di una festa”.
Trentanove presenze condite da progressioni, tagli e l’innata abilità di regalare assist al bacio, come quello servito a Di Napoli per l’1-0 contro il Como, tale da far esplodere lo stadio e dare il via alle celebrazioni. Lavecchia, che ha brillato anche con le maglie di Ascoli e Bologna, fu tra gli elementi fondamentali per scardinare le difese avversarie. “In quel campionato – spiega – ho fatto tanti assist e qualche gol, contro Treviso e Livorno. Fu per me un’annata molto bella, volevo arrivare in A. Conquistare la promozione a Messina valeva di più perché la squadra non è stata tante volte in A nella sua storia, non sarebbe stato come raggiungerla da altre parti dove c’è una maggiore abitudine, dunque per noi era troppo importante. Fantastico ricordare l’atmosfera del Celeste e il passaggio al San Filippo, lì feci in tempo a giocare l’amichevole d’inaugurazione dello stadio contro la Juventus”. Trasferitosi quell’estate all’Arezzo, la casacca giallorossa la rivestì nuovamente nel 2006/2007, l’ultimo campionato disputato in A dai peloritani.
Qual era il segreto di quella squadra capace di scalare la classifica dopo un avvio di stagione complicatissimo? “Senza dubbio il gruppo, eravamo tutti amici. Il mister Mutti (subentrato a Patania, ndr) fu uno dei più grandi artefici di quella promozione. Quando arrivò eravamo una famiglia un po’ trasandata per i pochi punti fatti nelle prime giornate e l’ultimo posto in classifica. Questo suo modo di fare educato e tranquillo metteva serenità e le sue tattiche erano facili da capire e attuare. Messina è una piazza esigente e soprattutto a quei tempi se le cose non andavano bene i tifosi si facevano sentire. Nessuno, però, si aspettava che già a dicembre, dopo lo 0-0 a Palermo, potessimo essere quarti. Con Mutti ottenemmo subito grandi risultati, schizzando nelle posizioni alte di classifica”.
Piazze da urlo, 46 giornate e un torneo cadetto (a 24 squadre), con 5 (+1) promozioni in palio, unico nel suo genere in seguito al blocco delle retrocessioni dalla B deciso per il caso Catania. “Fu veramente un campionato massacrante, per la partenza in ritardo ci ritrovammo a giocare ogni tre giorni e non eravamo di certo abituati a standard tipici delle squadre che affrontano le coppe europee. Penso sia stata una delle B più lunghe ma anche la migliore della storia, basterebbe pensare all’attacco del Cagliari con Zola, Esposito e Suazo, al Palermo con Toni, al Genoa con Milito, al nostro tandem Sosa–Di Napoli e a tutte le altre. La qualità dei giocatori era davvero assurda”.
Chi era il leader dello spogliatoio del Messina? “Sergio Campolo. Era un capitano eccezionale, anche se non giocò tantissimo in quel campionato per gli infortuni avendo già la sua età. In pochi tenevano il gruppo come lui, potrei paragonarlo per quanto visto a Di Vaio a Bologna o Del Piero alla Juventus”.
Chi invece il più pazzerello, ovviamente in senso buono? “La sfilza di nomi sarebbe piuttosto lunga (ride, ndr). Direi Zoro e Di Napoli su tutti, Arturo faceva morire dal ridere”.
Il rapporto con il presidente Pietro Franza? “Più che un presidente la sua era proprio una famiglia per bene, ricordo anche il fratello e la mamma. Con Pietro avevo i migliori rapporti, si comportava in maniera umile nonostante le responsabilità legate al suo lavoro con le navi. Simpatico e affabile, non sembrava proprio il classico presidente stramilionario che ti faceva pesare la sua condizione economica. Ogni tanto leggo qualche articolo su di lui, spero che un giorno possa ritornare nel calcio”.
Lavecchia, che vive in Sardegna, si divide oggi tra il campo in versione talent scout e la tv. “Dopo aver fatto parte per diversi anni del Cagliari adesso mi occupo più delle Academy rossoblù, in particolare nel nord della Sardegna. Alleno i talenti da ragazzini e cerco di farli crescere nel migliore dei modi. Il mio percorso è cambiato due anni fa (dopo l’esperienza all’Olbia da vice allenatore, ndr) per una scelta familiare e la volontà di restare più vicino possibile a mio figlio. Vado anche in tv su Sportitalia e di questo non posso che ringraziare Michele Criscitiello e Alfredo Pedullà, con i quali avevo già degli ottimi rapporti come giocatore e che hanno voluto premiare il talento”. Talento che Lavecchia mise al servizio della squadra in quel Messina, disputando una delle migliori stagioni della sua carriera.