L’allenatore reggino, a più riprese responsabile della Viola, ha speso anni importanti sulla sponda opposta dello Stretto, diventando anche capo allenatore per quindici partite in massima serie. “Abbraccio tutti i protagonisti di quella esperienza, squadra super ma pagammo le difficoltà societarie”. Il basket vive una flessione evidente: “S’investe poco sui professionisti, bisogna dare slancio all’attività di base e al mondo del dilettantismo”.
Da un anno si è concentrato quasi esclusivamente sulla sua attività professionale ma durante le sue giornate il basket è sempre il primo argomento, come testimoniano le tante chat con colleghi cui prende parte. Pasquale Iracà ha vissuto bei momenti con la pallacanestro, focalizzando la sua attenzione soprattutto sulla crescita dei giovani ma anche il mondo senior gli ha regalato gioie ed una crescita personale. Il tecnico reggino vive come tutti gli amanti della palla a spicchi questo periodo di sosta forzata con la speranza che la ripartenza possa avvenire in un futuro non troppo lontano.
Un’emergenza che può trasformarsi in opportunità. “Sono pronto a riprendere il mio lavoro, spero che questo possa avvenire nell’immediato anche per lo sport. Vedo tanta confusione a tutti i livelli, ma bisogna ripartire da alcuni presupposti non più procrastinabili. È il momento ideale per sedersi attorno ad un tavolo e riscrivere le regole del gioco perché sono in tanti a chiedersi quando si potrà rimettere il piede in palestra. Noto con piacere che ultimamente il Governo ha preso consapevolezza dell’importanza del mondo dilettantistico, che è la base della piramide e copre il maggior numero di tesserati. Penso all’attività di base da sempre in crisi soprattutto in Calabria e meno in Sicilia, che viceversa ha maggiore tradizione. Bisognerà concedere aiuti alle società che inevitabilmente diminuiranno di numero, anche se mi preoccupa il fatto che non vedo un’azione condivisa da parte di quest’ultime. Preoccuparsi del professionismo è legittimo perché nobilita tutto il movimento e muove i maggiori interessi ma nelle nostre regioni, in cui mancano club di vertice, è il dilettantismo che deve essere sostenuto”.
Tanti gli anni spesi alla Viola, dove più volte è stato una figura di raccordo e traghettatore per l’area tecnica in periodi difficili. Iracà ricorda però con orgoglio le prime annate trascorse a Messina e alcuni aneddoti: “In riva allo Stretto ho conosciuto grandi professionisti, penso ad esempio al gm Andrea Luchi, con il quale arrivammo praticamente insieme. La società dopo un l’inevitabile assestamento si strutturò negli anni di A2. Parlai con i patron Piccolo e Caruso e avviai la mia collaborazione nel 2002, inizialmente curando l’attività promozionale per la Nike, con testimonial Brian Oliver, che già conoscevo. Dall’anno successivo ricoprii il ruolo di responsabile del settore giovanile, che da zero si allargò e consolidò grazie ad un lavoro capillare sul territorio, arrivando a coinvolgere tutte le società della città. Avevamo tanti giovani che poi fecero bene, su tutti l’argentino Forray, che mostrava già all’epoca grande determinazione e “garra”. Altre individualità di livello erano Zampogna, Di Leonardo e Genovese. C’era un bello staff tra cui Baldaro, le sorelle Samiani e Checco D’Arrigo, in più sfruttavamo le potenzialità del PalaRescifina di San Filippo”.
“Nell’anno di serie A1 arrivò Sarti e il mercato permise di costruire un’ottima squadra, purtroppo frenata da problemi societari, ma nomi come Bonner, Yarbrough, Garnett, Estill e Busca erano di spessore. Anche nelle sconfitte lottavamo con orgoglio e spesso perdevamo nel finale, sintomo di una mancanza di serenità comprensibile da parte del gruppo. Era comunque un’A1 di alto livello. Ricordo il successo in rimonta con la Benetton Treviso campione d’Italia in un palasport stracolmo. Quando la società congedò Perdichizzi, arrivò Boniciolli, con cui ho instaurato un bel rapporto. Ricordo dopo una sconfitta interna una conferenza stampa infuocata contro la società. Ci ritrovammo con il tecnico triestino a cena in pizzeria: mi confessò di essere arrivato a Messina perché credeva nella salvezza, ma che aveva già la macchina piena di bagagli e sarebbe andato via, tornando solo se le cose si fossero sistemate. La notte prese il traghetto e rinunciò al progetto. Un vero peccato. Ricordo il palazzetto pieno e i tanti amici che ho conosciuto a Messina: li abbraccio tutti”.
Nel prosieguo la sua carriera si snoda prevalentemente a Reggio Calabria. “Sono cresciuto facendo tutta la trafila giovanile e arrivando a ricoprire il ruolo di assistente della prima squadra con i vari Zorzi, Giuliani e Moretti. Sono stato head coach con vari intervalli, aiutando la società e lo spogliatoio in periodi difficili. La mia missione però rimane quella di lavorare con i giovani, mi ha sempre dato gratificazione. Ricordo anche l’avventura a Lamezia, dove è stato fatto un bel lavoro con un vivaio in grado di prendere parte a diversi campionati d’Eccellenza. Da diverso tempo però noto che le società non hanno lo sguardo attento che questo settore richiederebbe”.
Tante le peripezie che la storica società reggina ha attraversato nel periodo recente, oggi si spera di poter ripartire e trovare la necessaria stabilità. “Il bello è che il progetto è ripartito grazie ai tifosi, al trust e all’azionariato popolare, che hanno fatto da traino ma adesso serve che la società si consolidi e strutturi. La partecipazione c’è ma la capacità dirigenziale è fondamentale, Reggio è una piazza passionale, con un grande seguito. La figura tecnica centrale è Moretti, un lusso per queste categorie e ultimo allenatore cui ho fatto da assistente. Anche giocatori di serie A2 che hanno giocato qui tornerebbero di corsa ma troppo spesso la storia di questo sodalizio ha avuto alti e bassi e la Lega ha dovuto cancellare d’ufficio gli ottimi risultati conseguiti sul campo. Io stesso conservo ricordi belli e brutti”.
La ripartenza dopo la pandemia è molto difficile e la strada deve obbligatoriamente contemplare dei requisiti da non eludere: “Le sponsorizzazioni sono sempre più difficili, i fondi sono pochi e bisogna pensare a sgravi con credito d’imposta del 50% per chi si vuole impegnare. Non ci sono più le tutele di una volta e tutti gli operatori e gli atleti dovranno rivedere le proprie esigenze. Personalmente in trent’anni di pallacanestro ho sempre ottenuto un discreto ritorno economico ma in questa precisa fase temporale ho preferito concentrarmi sul lavoro. Il professionismo ricopre una fascia stretta, propenderei per una Lega con venti top club, ben distribuita geograficamente. Alle sue spalle invece il mondo dilettante, che poi è la parte preponderante del sistema”.
Da una crisi epocale come quella attuale però bisogna avere il coraggio di trovare la fiducia necessaria per tornare in palestra e credere nel lavoro che si fa. “Tra addetti ai lavori spesso ci chiediamo se e quale categoria di americani potranno giocare in futuro in Europa. Bisognerà intercettare nuove opportunità di lavoro, sfruttando la bravura e la professionalità di dirigenti che negli ultimi tempi stanno scomparendo dalle società che troppo spesso preferiscono risparmiare sulla competenza. Questo è l’elemento che invece fa la differenza. Noto infatti che tanti colleghi preferiscono lasciare, non trovando più spazio o ruoli adeguati e così inevitabilmente le competenze si abbassano. Chi fa tutto in proprio eliminando la qualità inevitabilmente è destinato a cadere. Lo sport inoltre è salute per cui un altro aspetto decisivo sarà soccorrere con aiuti, sussidi e defiscalizzazione tutti quei genitori che non potranno più permettersi di pagare le rette e portare i figli in palestra. Solo un ampio accesso all’attività di base può salvare questo mondo”.
In chiusura Iracà chiarisce a cosa è legato l’eventuale ritorno in attività: “Ho tanta passione dentro ma un progetto deve stimolarmi perché per mia indole voglio poter lavorare bene per realizzare qualcosa di concreto con i giovani e non di effimero”.