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Impreparazione, proclami avventati e indifferenza: così è morto (di nuovo) il calcio a Messina

Game over, fine della corsa. La travagliata storia dell’ACR Messina termina in un afoso pomeriggio di metà luglio e sembra la sintesi di una città impegnata nella lotta perenne per uscire dalla mediocrità. Una realtà problematica la nostra, dove l’elenco delle cose che non vanno aumenta a dismisura e adesso pure il calcio è destinato a ritornare nell’oblio del dilettantismo.

Curva Sud
Tanto calore in Curva Sud: quando potremo ammirare di nuovo quest’immagine?

Tralasciando le chiacchiere e i confronti sui massimi sistemi, vale la pena sottolineare come il fallimento della prima squadra cittadina, il secondo in appena nove anni, non sia certamente scaturito soltanto negli ultimi due mesi. La fossa è diventata più grande giorno dopo giorno e intanto la massa debitoria è aumentata di stagione in stagione, diventando insostenibile ed insormontabile.

Appena insediato, Franco Proto ha promesso la normalità, che non è mai arrivata. A lui va riconosciuto il merito di aver condotto in porto una barca affondata già a febbraio, ma anche recenti gravi errori. Su tutti quello di non aver alzato bandiera bianca all’indomani di Vibo, consegnando la società nelle mani del sindaco Renato Accorinti, ammettendo l’impossibilità nel poter proseguire questa avventura da solo.

Pino, Proto e Accorinti
Pino, Proto e Accorinti in posa con una maglia del Messina

Così si sarebbe messa con le spalle al muro la politica, che avrebbe dovuto chiamare a raccolta (con ben altre tempistiche) l’imprenditoria locale, per salvare il calcio professionistico. Sulla falsariga di quanto accaduto a Catanzaro, dove comunque – è doveroso evidenziarlo – non c’era affatto una mole debitoria con cui fare i conti ma soltanto una società virtuosa costretta a cedere la mano dopo i problemi giudiziari del patron. Con il passare dei giorni la lotta per la sopravvivenza del Messina è diventata una missione kamikaze, mentre la società iniziava a dar vita alla sagra degli errori.

La volontà di programmare un ritorno al “Celeste” e il lancio della campagna abbonamenti ne sono l’esempio lampante, perché hanno creato l’illusione di un futuro che non ci sarà e forse questa è la delusione più grande. Da portatore sano di entusiasmo, negli ultimi due mesi e mezzo Franco Proto agli occhi dei tifosi si è trasformato nell’ennesimo traditore di sogni, che compra la squadra e un secondo dopo chiede aiuto a tutti per portare avanti la baracca. Non si può pensare di affrontare un campionato di Serie C racimolando qua e là gli investimenti: o si possono fare o non si possono fare e i fatti hanno condannato l’imprenditore di Troina.

Madonia
Madonia celebra una rete

Chiunque farà calcio a Messina, se si farà calcio a Messina, cambi musica, questo è giusto metterlo in chiaro fin da subito. Se non si hanno le possibilità per creare un progetto in grado di far dimenticare nel giro di pochi mesi l’ennesima mazzata meglio lasciare perdere: “i sacrifici fatti per amore della città e dei tifosi” abbiamo visto a cosa hanno portato.

Se nella prossima stagione si dovrà ripartire, l’artefice di questo nuovo progetto dovrà far capire di essere disposto ad investire, altrimenti si sarà di nuovo punto e a capo. Non ci si può presentare al cospetto della piazza con una mano avanti e l’altra dietro, perché Messina sin qui ha garantito 1100 abbonamenti a scatola chiusa ed in cambio ha ricevuto l’onta dell’ennesimo fallimento.

Messina
Un undici titolare del Messina

Come non ci si può neanche illudere che ripartire e vincere sarà la cosa più semplice del mondo: gli anni tra il 2008 e il 2013 hanno insegnato quanto sia complicato uscire dal guado del dilettantismo. Al tifoso messinese medio andrebbe consegnata una laurea ad honorem in Economia, considerato che da oltre un mese si parla di polizze fideiussorie, ricapitalizzazioni e buchi patrimoniali. E dire che avremmo voluto solo raccontare gli esiti di un normalissimo ritiro precampionato, di acquisti fatti o sfumati, di moduli e di allenatori contattati.

Dall’altra parte una fetta di città deve far capire una volta per tutte se l’argomento calcio viene ritenuto ormai morto e sepolto, in modo tale che chi ancora ci crede si metta l’anima in pace e trascorra diversamente le proprie domeniche. Ancora una volta il pallone si è sgonfiato nel silenzio più assoluto. In altri lidi avrebbero smosso il mondo ed invece qui si è permesso che tutto si compiesse senza quasi colpo ferire. Per l’ennesima volta permane la sensazione che non sia stato fatto tutto il possibile. E forse questa è la sconfitta più grande.

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