Calcio

I numeri fotografano la crisi di un Messina alla ricerca della dignità perduta

Appena tre punti in nove partite, frutto solo di pareggi, vale a dire un punto ogni tre gare. Il calcio non è matematica, non è una scienza esatta come molti vogliono far credere, ma è fatto di numeri e le cifre aiutano a capirlo meglio.

Il terzo gol di Bubas (foto Fabrizio Pernice)

Le statistiche del Messina sono impietose, il primo quarto di stagione è da dimenticare e forse rappresenta il punto più basso nella storia calcistica messinese. I tre fallimenti degli ultimi ventiquattro anni sono un marchio indelebile, ma gli ultimi due hanno trascinato il Messina in un vicolo fin qui senza via d’uscita. Un oblio che ha cancellato la trionfale cavalcata dell’era Aliotta e i fasti dell’era Franza. Dal 2008, inutile nasconderselo, si raschia il fondo del barile ed a poco servono blasone ed ambizioni.

A memoria si fa fatica a ricordare una formazione giallorossa mestamente ultima in classifica in quarta serie senza neanche una vittoria. C’è ben poco da appellarsi agli episodi ed alla sfortuna: quanto accaduto domenica al “Franco Scoglio” è la logica conseguenza di un’annata che rischia di trasformarsi in un vero e proprio incubo. Le sconfitte di Portici, Cittanova e Roccella, dove una partita di calcio diventa una vera festa di paese, non sono servite, mancava la ciliegina sulla torta.

Polito lascia il campo dopo l’espulsione (foto La Macchia)

Un dopo pasto più che indigesto lo ha servito la Vibonese del presidente Caffo, specialista del settore, dal momento che la sua azienda è quella che produce il celeberrimo Amaro del Capo. I calabresi hanno passeggiato sui resti di un Messina mai in partita, che si è sciolto come neve al sole alle prime difficoltà, incapace di reagire agli attacchi di una Vibonese che ha dominato dal primo all’ultimo istante del match.

Un confronto impietoso tra due squadre che non sembravano neanche appartenere alla stessa categoria e forse questo è il dato più preoccupante, che fa capire la scarsa caratura tecnica di una squadra costruita senza alcun criterio. Ed il fatto che l’attacco del Messina fosse nelle mani di un ’99 la dice lunga.

Gagliardini beffato: passivo pesantissimo per il Messina (foto La Macchia)

Da tempo si sussurra che questa squadra meriti ben altra classifica, ma se dopo quasi due mesi di campionato si aspetta ancora la prima vittoria vuol dire che la forza di questa rosa vale la classifica che ha.

Qualche prestazione positiva c’è stata, vedi GelaTroina ed in parte Acireale, ma anche in presenza di una buona interpretazione della partita la vittoria non è arrivata. Piaccia o no i risultati non mentono. Così come lascia il tempo che trova la doverosa chiamata alle proprie responsabilità fatta nel dopo partita da Modica (il primo degli incolpevoli) e Maiorano.

Il presidente Pietro Sciotto (foto Fabrizio Pernice)

Se dopo settimane le prestazioni di alcuni giocatori rimangono sempre sullo stesso livello, la non comprensione di cosa voglia dire indossare la maglia del Messina c’entra poco: piuttosto vuol dire che quell’elemento di più non può dare. Nel dopo partita il silenzio più assordante è stato quello di Pietro Sciotto. Chi si aspettava che il numero uno peloritano prendesse finalmente la parola dopo l’imbarazzante pomeriggio si sbagliava di grosso.

Ed invece proprietà e dirigenti hanno sbagliato. Si doveva parlare e presentarsi ai microfoni dei giornalisti per chiedere scusa. Lasciare l’ingrato compito a Modica e Maiorano non è apparsa la scelta migliore. Ormai si può tracciare un primo bilancio su questa nuova esperienza e non può che essere fallimentare.

La disperazione di Migliorini e Colombini (foto Pernice)

Sciotto sin qui ha toppato miseramente: da uomo di calcio ma ancora prima da imprenditore, incapace di far fruttare i tanti soldi che egli stesso ha ammesso di aver investito. Questo però non basta. Annunciare di aver investito del denaro nel calcio è come assicurare di essere onesti in politica: con i tempi che corrono non è un aspetto da sottovalutare, ma stiamo parlando sempre di un prerequisito fondamentale.

Occorrerebbe domandarsi che se ne fa la città di questa squadra, ultima in un campionato iniziato con ben altre ambizioni. Che se ne fa Messina di una squadra che perde sui campi di periferia, evento salutato dalle tifoserie locali con lo stesso entusiasmo con cui si celebra il santo patrono del paese.

Per qualcuno va bene così, ci si accontenta: l’importante è avere una squadra, anche se lo scotto da pagare è questo. Adesso non si può fare altro che stringere i denti in attesa della tanto famigerata rivoluzione di dicembre, nella speranza che in questo mese si recuperi un briciolo della dignità scomparsa domenica pomeriggio.

Antonio Macauda

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