La “mosca atomica” commenta per noi il recente successo colto in Croazia col Cedevita Zagabria, i valori espressi dal campionato italiano e loda la “sua” Capo d’Orlando e il management targato Sindoni, oltre alle finaliste Venezia, Trento e Sassari. Tirata d’orecchie a Milano, che resta però l’unico club a spiccata dimensione europea. Chiusura dedicata al suo ex compagno Basile, ritiratosi ad inizio anno.Â
L’entusiasmo di chi è al primo giorno di scuola impersonificato in una delle leggende recenti della nostra pallacanestro. Gianmarco Pozzecco è questo: genuinità pura, non lo puoi limitare, puoi semplicemente sottolineare le sue esperienze di vita, gli aneddoti e trarre spunti di riflessione sconfinati, convogliati con un’energia positiva che raramente trova paragoni.
Ha da poco vinto da assistente il torneo croato col Cedevita Zagabria, un “double” con la Coppa nazionale e quarto titolo di fila per il club, ma in questo momento il “Poz” è leggermente più “preoccupato” dal prossimo impegno agonistico, che lo vedrà protagonista il prossimo 25 giugno.
“In effetti non gioco da un po’ e nei prossimi dieci giorni devo riprendere confidenza col parquet (suona strano per uno come lui, ndc) ma non potevo dire di no all’invito all’All Star Legend Night 2 da parte di Sassari, evento che si giocherà al Parc Esportiu di Barcelona. Ammetto di amare profondamente Sassari, ho un rapporto consolidato col patron Sardara e Pasquini. Li definisco degli amici e con loro ci conosciamo da anni. La Dinamo è semplicemente una società che risponde alla mia concezione di pallacanestro, il fatto che faccia attività  in un’Isola la rende speculare a Capo d’Orlando. Due posti in cui il basket è volano per tutta la Regione e non solo. Emergono valori positivi che altrove magari si sono persi. Accomuno siciliani e sardi, hanno grande passione e una visione della vita similare. Ho accettato subito l’invito perchè il mondo Dinamo mi piace, non è casuale che Sacchetti mio allenatore a Capo sia stato l’artefice del “triplete” di Sassari nel 2015. E’ un ponte ideale tra i due luoghi. Poi l’aria che respiri ed il cibo rendono tutto più semplice, anche allenarsi”.
Il suo Cedevita Zagabria è diventato campione nazionale in gara 5. In campo, assoluto Mvp quel Ryan Boatright con trascorsi recenti in Sicilia. Una scelta di mercato “raccomandata” da un amico speciale.
“La Croazia è un altro posto fantastico che consiglio a tutti di visitare e vivere. Essere vice coach di un grande amico prima che collega come Veljico Mrsic, in un momento per lui determinante della carriera, ammetto che mi ha ripagato e gratificato di tanti sacrifici sostenuti. La proprietà del Cedevita è stata eccezionale, ho ritrovato nel management anche ex avversari sul campo. Io sto bene dove si ragiona con goliardia, ma attenzione questo non significa che debba arretrare la professionalità . Capo d’Orlando dimostra che puoi coniugare risultati importanti, dando valore prioritario agli aspetti umani e di conseguenza quelli sportivi. Al Cedevita ho vissuto due anni fantastici con persone splendide”.
Ed in campo un Mvp facilmente individuabile: “Boatright già adesso sposta ogni equilibrio. Solo un genio come Peppe Sindoni poteva portarlo in Italia. Noi avendo perso Jackson, che è tornato in NBA, avevamo bisogno di un’addizione a colpo sicuro. Chiamai a colpo sicuro Peppe e gli chiesi notizie su un possibile profilo da valutare. Sapevo che le sue parole su Boatright mi avrebbero aiutato a scegliere nel migliore dei modi. L’abbiamo preso subito, il ragazzo è forte e ci ha fatto vincere le serie più importanti. Anche gli avversari hanno ammesso la sua superiorità ”.
In Italia sono innumerevoli i tifosi che lo rivorrebbero subito in panchina, il “Poz” è molto chiaro sul punto e stila una griglia di valori.
“Parto da Milano, è facile dire che oggi sia una delusione. Parto però anche dalla ripartenza di sei anni fa: io frequentavo il PalaLido e ricordo che si faceva fatica a riempirlo. Oggi l’amore per la squadra è cambiato, i tifosi si sono moltiplicati ed il seguito è enorme. La licenza decennale stipulata con l’Eurolega è un grande risultato raggiunto dalla proprietà , non dimentichiamo che con Armani ha vinto con continuità . Certo quest’anno il sentimento di delusione è forte ed appare ancora strano non vederla in finale. Devo però dire che per me si stanno contendendo lo Scudetto le due squadre migliori del campionato insieme a Sassari. Trento ha un progetto favoloso ed ha trovato da gennaio quella continuità di risultati che le è mancata in avvio. Trainotti-Buscaglia e Ralsky si completano a vicenda e le addizioni di Craft e Sutton hanno completato un cerchio già ben amalgamato. Difendono duro ed oggi punterei su di loro, però di fronte c’è Venezia, squadra di maggiore talento, De Raffaele merita questi risultati. Ha tratto tutto quello che di positivo poteva recepire da Recalcati e credo che la serie sia apertissima. Il bello dell’Italia è che oggi in tanti possono vincere dopo gli anni di egemonia della Mens Sana Siena“.
Ed allora che risposta dare al quesito se la “Mosca atomica” accontenterà i tifosi e tornerà ad allenare in Italia?
“Amo l’Italia, il mio paese, ma in un duello con l’Europa sceglierei di allenare in Europa. Sottolineo che l’Italia è un campionato difficile, e pur investendo tanto non hai garanzie di successo proprio perché tolte tre o quattro squadre al top, le altre hanno budget simili e devi essere tu bravo a saper spendere. In Croazia e nei paesi Balcanici è diverso, ad esempio la regina Budcnost in Serbia sa di essere superiore e seppur possa incappare in una stagione storta sa con sicurezza che non andrà mai sotto il quarto posto nella stagione regolare perché la forbice dei valori è completamente diversa. Lì l’albo d’oro infatti è ormai monomarca. Discorso simile in Croazia col Cedevita, che però si avvia a vivere una stagione di transizione con tanti cambi nel roster.
“Se invece alleni Milano non è detto che puoi vincere, sei in Italia e spesso paghi le scelte di mercato specie a livello Usa. Ricordo che a Varese cambiai tutti gli americani rispetto all’anno prima, eravamo un melting pot e risentimmo di questo. Nel nostro Paese se scegli Capo d’Orlando invece vai sul sicuro: dico che è perfino più semplice allenare lì, la gente è sempre calorosa e pur volendo i risultati avverti meno pressione di altri posti. Mi chiamo fuori però dall’allenarla: non ci torno, con Di Carlo hanno il miglior allenatore possibile, lo dicono i risultati. Inoltre poi venero il miglior Ds che c’è in Italia, che ogni anno costruisce squadre futuribili e ben allenabili. In sintesi: in Italia rischi, a Capo d’Orlando meno”.
Nel prossimo futuro sposare una squadra a filosofia europea o continuità con la linea americana? Il Poz non ha grossi dubbi: “Adoro la filosofia europea, lo dice il momento storico del basket, l’ha fatto Capo d’Orlando ed ha avuto ragione. Gli europei ti portano a migliorare il tuo status di coach. Desidero una squadra così impostata sul 3+4+5. Ricordo che Zeljico Obradovic mi disse che bisogna avere una conformazione europea per andare lontano. Se guardo la mia storia a Varese avevo una squadra fin troppo multiculturale e questo alla lunga lo paghi anche semplicemente nell’assemblare il team. Poi pretendo l’etica del lavoro, mi appaga l’allenamento e la serietà nelle sedute tecniche”.
Quest’anno si è ritirato il “Baso”. Con Pozzecco compagno nei club, in Nazionale e poi alle sue dipendenze da coach.
“Lui è la persona credo più sincera della Terra. A lui, Meneghin e Zanus Fortes non avrei dubbi a dare la mia carta di credito non per l’amicizia che ci lega ma perché è gente eccezionale. Basile quando parla è profondo e dice sempre la verità , forse non è diplomatico ma arriva preciso al cuore. Ci credo quando ha fatto capire che con gli americani non coesisteva, io l’ho allenato quando salimmo con Capo in serie A. Perdemmo senza di lui le prima tre gare, poi tornò alla quarta giornata e ne vincemmo sette di fila. Ha cambiato la squadra, fece numeri da urlo, ricordo le nove triple nel derby a Barcellona e la magia allo scadere con Ferentino. Lui ha aumentato il suo livello di rendimento e quello della squadra, solo i grandi possono farlo. Poi c’erano mostri sacri come Soragna e Nicevic in quella squadra, tutto era più semplice. Vuole sempre allenarsi al massimo e pretende che dall’allenamento riceva il massimo. Una cosa che un Usa non sempre garantisce. Se Basile ha deciso di smettere l’ha fatto nel momento giusto”.