Capitano di Trento dal 2013, è il primo giocatore nella storia del club per numero di presenze, non avendo mai saltato una gara in maglia bianconera: “Credo di avere collezionato soltanto tre forfait in tutta la carriera”. Icona di Forlì e della città trentina: “Ho sempre trovato il progetto giusto che mi ha permesso di crescere”. Mantenuti i rapporti con lo Stretto: “Ho ancora diversi amici, fu un’esperienza bellissima. Festeggiai lì i miei 18 anni”. Il campo rappresenta ancora il primo obiettivo: “Mi diverto tanto in palestra. Spero in un futuro qui anche in società”.
Gli appassionati di basket della città di Messina possono orgogliosamente affermare che la carriera italiana di Andrès Toto Forray sia partita proprio dalla città peloritana, allorquando un giovanissimo diciassettenne argentino faceva già intravedere tutto il suo enorme potenziale durante gli allenamenti sostenuti al PalaRescifina con la canotta dell’allora Pallacanestro Messina. Fu un’esperienza breve ma che inevitabilmente segnò il naturale trampolino di lancio per “Toto” che diventerà negli anni successivi il giocatore più rappresentativo della storia di Trento, condotta in sole nove stagioni dalla Dna sino a due finali scudetto e a un solo canestro di differenza dall’approdo a una storica finale europea di Eurocup contro il Galatasaray.
Oltre trecento le presenze per il play in maglia bianconera, che lo rendono il primo giocatore per presenze nella storia del club e per la sua gente molto più di un semplice giocatore di basket. Forray ama la sua patria ma in Italia ha trovato una seconda casa: ”Quest’anno dovrò saltare il mio consueto viaggio in Argentina ma almeno posso godermi a tempo pieno la famiglia. Non è una cosa scontata per uno sportivo professionista, che ha sempre tanti impegni. Sto benissimo in Italia, non trovo particolari differenze nelle culture di due paesi che amo tanto”.
In carriera non ha cambiato molte maglie e anzi, per indole e attaccamento, ovunque è andato si è sempre fatto ricordare dai tifosi, entrando spesso anche nei record personali di quei club: “Durante le mie esperienze sono stato fortunato ad andare nei posti giusti. Jesolo, Forlì e Trento rappresentavano dei progetti seri di crescita complessiva. Questo facilita anche il compito di un giocatore, che se trova la necessaria fiducia rende al meglio in campo”.
Il palmares è invidiabile: due finali scudetto nel giro di due anni (2017 e 2018), una semifinale di Eurocup, una Coppa Italia di Legadue e due campionati Dilettanti (l’allora seconda serie nazionale). Non c’è alcun rammarico per le finali perse con Venezia e Milano anche se il talento di Forray avrebbe meritato almeno un titolo: “Nello sport si vince e si perde, fa parte del gioco e io in carriera ho festeggiato tanto e talvolta sono stato superato dagli avversari. L’importante è sempre dare tutto in campo e credo di averlo fatto sia con Forlì che con Trento. Anche in questa stagione la sensazione netta è che potevamo raccogliere molto anche se avremo la controprova. Comunque se dai il meglio di te non puoi avere rammarico particolare”.
Il talento argentino dal 2014 non ha mai saltato una gara, dato straordinario che testimonia la sua cura del fisico e quanto sia importante per un tesserato osservare le giuste regole: “Faccio i debiti scongiuri e incrocio le dita, ma non ho mai saltato una partita con Trento. Credo di avere collezionato soltanto tre assenze in tutta la carriera per degli infortuni traumatici agli arti superiori: accade nel nostro sport. Mi ritengo molto fortunato”.
La quarantena sicuramente è contro natura per uno sportivo sempre focalizzato sugli impegni stagionali e sul continuo lavoro in palestra: “Mi sono fermato completamente in quest’ultimo periodo, io che solitamente a fine stagione faccio sempre dei richiami con lavori di forza per le articolazioni. Alle volte però il riposo fa bene e nella mia carriera ho sempre affrontato stagioni molto lunghe con tante partite in calendario, arrivando anche all’ultimo atto del tabellone”.
In Trentino ha trovato uno dei club più seri in Italia, società preparata e in continua ascesa, alla quale potrebbe legarsi anche a fine carriera: “La società va ringraziata perché ha costruito sempre ottimi gruppi. Negli ultimi tre-quattro anni abbiamo anche avuto la forza di risollevarci dopo degli inizi non brillanti, segno di grande coesione di spogliatoio. L’unione ci ha permesso di ottenere grandi risultati, andando sempre oltre i limiti. Al momento sono principalmente focalizzato sulla mia carriera da giocatore, però non nego che a Trento mi piacerebbe poter proseguire la mia avventura anche fuori dal campo, anche se ancora non so in quale ruolo. È presto per pensarci”.
Una cavalcata da film per il sodalizio di patron Luigi Longhi, il passaggio dalla serie B all’olimpo è stato relativamente breve: “Ricordo che al mio arrivo al palazzetto non c’erano tantissimi spettatori. Dalla promozione in serie A la passione per il basket non ha più conosciuto limiti. È bello pensare che con i miei compagni abbiamo fatto innamorare i tifosi di questo sport. La gente si identifica con me perché non ha visto un altro capitano indossare questi colori e io sento la responsabilità di ricambiare tutto questo coinvolgimento”.
L’Europa rappresenta l’ennesima scommessa vinta dal club e da Toto che in quattro edizioni di Eurocup ha potuto sfidare grandi campioni del nostro continente, arrivando nel 2016 vicinissimo alla conquista della finale: “Sin dalla prima edizione ci siamo potuti confrontare con club di grande storia. Ricordo con piacere la prima trasferta in assoluto in Coppa in Slovenia contro l’Olimpia Lubiana, società blasonata. Giocavamo in una mega struttura da oltre 15.000 posti e l’arrivo del pullman dentro un mega-parcheggio sotterraneo a circa quaranta metri. L’impatto fu forte, ti rendi conto in quel momento quale livello hai raggiunto e la dimensione che il basket raggiunge in certi paesi”.
Delle nove stagioni con l’Aquila, il ragazzo di Buenos Aires ricorda in particolare quella del 2014, coincisa con il raggiungimento della storica serie A nella finale contro l’Orlandina, mentre l’anno prima si era fermato in semifinale dopo aver eliminato l’allora testa di serie Barcellona: “L’A2 quell’anno l’abbiamo vinta grazie allo spessore del nostro gruppo. Giocavamo un bellissimo basket perché eravamo amici prima che giocatori. Anche i ragazzi americani di quel roster, Bj Elder e Brandon Triche, si sono aperti e connessi mentalmente con noi e tutto è stato facilitato”.
Nel 2003 Messina ha segnato l’inizio della sua avventura in Italia e l’esordio in serie A nell’incontro esterno con Teramo. Siamo certi che centrerà nuovi e importanti traguardi, con la sua “garra” e le qualità tecniche, capacità indiscutibili che già da ragazzino mostrò in Sicilia.
Nonostante il passare degli anni e le difficoltà societarie, Forray ricorda quei momenti con grande affetto con un raffronto a distanza con un campione che lascia il segno: “Sono arrivato a stagione in corso e la mia esperienza non è ovviamente paragonabile con quella di un connazionale e mito assoluto per il mio popolo come Manu Ginobili, che nella vicina Reggio Calabria ha dimostrato una classe innata prima di conquistare l’Nba. Sono stato benissimo in Sicilia: avevo solo diciassette anni e ho festeggiato lì la maggiore età. È un peccato che avessimo alcune problematiche extra sportive, ma a quel tempo la serie A era di un livello altissimo, al pari delle migliori leghe europee. La stessa Messina era una squadra molto forte per la categoria. Voglio salutare tutti gli amici che ho conosciuto quell’anno, in particolare Checco D’Arrigo e Nico Ragno, con i quali siamo rimasti tuttora in contatto”.