C’è tutto Vincenzo Nibali nel nuovo trionfo al Giro d’Italia. Orgoglio, forza, generosità, costanza, perseveranza, emozione, sudore, lacrime, umanità, sportività. E per una volta l’eccesso di superlativi e aggettivi, inevitabile in queste ore, non ci porta a scadere nella retorica. L’impresa firmata nelle ultime due tappe della corsa rosa è di quelle destinate a essere tramandate.
Lo “squalo dello Stretto” era scivolato giù dal podio, a distanza siderale dalla maglia rosa, detenuta dal bravo e valido olandese Kruijswij, la cui sfortuna, nella discesa successiva al Colle dell’Agnello, è stata paragonabile alle difficoltà inflitte a chi ha dovuto per giorni pronunciare correttamente il suo cognome. Senza riuscirci.
E pazienza se il primo dei due attacchi decisivi è stato agevolato proprio dal contrattempo occorso a Steven. In altre corse a tappe era stato Nibali a perdere terreno in una caduta, e nella cronoscalata che sembrava ormai decisiva ai fini del successo finale, il portacolori dell’Astana aveva rotto il cambio dopo un salto di catena…
Venerdì mattina Nibali aveva 4 minuti e 53 secondi da recuperare rispetto al detentore del primato. Un’enormità, anche per chi aveva già vinto il Giro del 2013, dopo la Vuelta del 2010 e prima del Tour del 2015, salendo per sette volte sul podio di una grande corsa a tappe. Ma non per Vincenzo, che ha deciso di reagire da par suo alla pioggia di critiche, che non mancano mai alle nostre latitudini.
Gli esperti hanno partorito tante teorie, per giustificare quello che veniva già descritto come un fallimento: si è parlato di una preparazione errata, di uno “squalo” sul viale del tramonto, già condannato dai suoi detrattori, e perfino di una posizione in bici non ottimale, dopo il cambio della misura delle pedivelle, gli elementi metallici che collegano il movimento centrale della bicicletta ai pedali. Il ritiro veniva indicato come possibile soluzione per evitare l’onta, che peraltro fa sorridere definire tale, di concludere la corsa fuori dal podio.
A spiegare la genesi dell’ennesima impresa, che lo consacra nella storia dello sport, è stato lo stesso Vincenzo, con la consueta onestà, negli studi della Rai: “È stato un Giro logorante, in cui partivo da favorito. Ho avvertito la pressione e non ho corso bene. Soltanto nell’ultima settimana ci siamo riallineati alle nostre aspettative. Quando finalmente mi sono lasciato alle spalle tanti pensieri e ho corso libero con la mente, ho riacquisito fiducia e consapevolezza del mio ruolo. E sulle strade ho capito che la gente mi vuole bene comunque e quindi mi sono detto che non avevo più nulla da perdere”.
Poi il campione si vede anche a margine dei grandi trionfi. C’è chi pecca di presunzione o comunque eccede nell’ebbrezza dei festeggiamenti. È umano, soprattutto se hai dovuto ingoiare amaro lungo il tragitto. La grandezza di Vincenzo Nibali invece è consacrata nella lucidità e nella naturalezza di due gesti straordinari. Le dita al cielo e il pianto liberatorio sul traguardo di Risoul, per ricordare Rosario Costa, il 14enne che sognava di emularne le gesta e che invece ha trovato una morte inspiegabile e inaccettabile, scontrandosi con un autocompattatore, durante un allenamento mattutino.
E l’abbraccio ai genitori di Chaves, il rivale che aveva indicato da buon profeta come possibile rivelazione di questo Giro. Erano arrivati apposta dalla Colombia, calpestando per la prima volta il suolo europeo, per celebrare l’impresa del figlio. E il secondo posto, alle spalle di Nibali, resta un risultato da incorniciare. Esteban lo ha accettato con altrettanta sportività, ammettendo che questo Vincenzo “era più forte” e che anche queste sconfitte “fanno parte della vita”. Chapeau a entrambi.
È stata scritta un’altra pagina del ciclismo ed era presente, grazie al suo campione, anche Messina, spesso disattenta e non a caso “rimproverata” dallo stesso Nibali perché assente a Catanzaro, a differenza degli incontenibili fan del suo club toscano, i CanNibali, che lo hanno adottato dopo il suo addio forzato a una terra priva di strade e mezzi in grado di sfruttarne le doti. Ma nelle ultime 48 ore non c’è stato un solo messinese che non abbia manifestato l’orgoglio di avere un concittadino così illustre e vincente. Lo dimostrano i social network e i dialoghi nei bar e nelle piazze. Tutti uniti nell’ideale abbraccio a Vincenzo e a Rosario, il suo primo tifoso, ispiratore di un miracolo sportivo da ricordare.