L’ex portiere del Messina Mimmo Cecere ha militato per sei anni nelle giovanili del Napoli, mentre la prima squadra vinceva in successione due scudetti, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa Uefa. Oggi la città partenopea è in lutto per l’improvvisa e prematura scomparsa di Diego Armando Maradona.
“Nel 1986 ero raccattapalle a bordo campo, nel giorno della gara scudetto con la Fiorentina. La mattina non andavo a scuola per vedere dal vivo gli allenamenti. Poi entrai nelle giovanili. A 14 anni vivevo al centro Paradiso, dove i giocatori del Napoli venivano quotidianamente ad allenarsi e mangiavano con noi nella foresteria, dunque eravamo spesso a contatto”, ricorda per noi Cecere.
Pur di incrociare Maradona, nascose un infortunio: “Un giorno a Soccavo avevo la spalla lussata, per una botta subita un’ora prima in partita, ma lui calciava punizioni e rigori alla fine della seduta. Mi buttai soltanto dal lato che non mi faceva male… Era una fortuna allenarsi con quei campioni, sarei rimasto in campo anche senza una gamba”.
A testimoniarlo una foto di un giovanissimo ed emozionato Cecere al fianco del “Pibe de Oro”, che sovrastava in statura. “Per me era un sogno stare in campo con gente fuori dalla norma come Maradona, ma anche Careca, Giordano, Carnevale, Bagni, De Napoli e Francini. Uno squadrone, ragazzi con cui sono cresciuto, che hanno regalato al Napoli trofei mai vinti in precedenza”.
Nel 1989, quando aveva compiuto da poco sedici anni, Mimmo conquistò la copertina, per un rigore parato al campionissimo. “Ad Agnano la mia Berretti sfidava la formazione Primavera. Con loro giocò anche Maradona, che era stato fermo per infortunio e si presentò a sorpresa al campo. In partita si è trovato con me a tu per tu e sono stato fortunato, compiendo delle belle parate e poi riuscii a prendere anche un rigore. Uscì addirittura un articolo in prima pagina sulla Gazzetta dello Sport e il giorno dopo diventai titolare in Primavera, nonostante avessi due anni in meno dei compagni”.
Cecere ha condiviso quegli anni con altri due ex giallorossi: “Sono stato per cinque anni in collegio con Enrico Buonocore, che ha vissuto con me quell’epoca, e per due con Fabrizio Ferrigno, che è arrivato dopo. Abbiamo avuto un bel rapporto con la sua famiglia, alla quale esprimo ora vicinanza per il recente lutto”.
Negli anni successivi ha incrociato spesso Maradona: “Nell’ultimo anno di Primavera mi allenavo spesso con loro. Ho fatto un ritiro in prima squadra e sono stato anche convocato in quattro occasioni. Con Diego parlavo spesso. È stato un grandissimo uomo: essendo di origini umilissime e avendo conosciuto con i genitori la fame, era generosissimo con gli altri, li aiutava. Aveva una fede enorme e prima di riscaldarsi pregava a lungo in ginocchio in un angolo”.
Lascia una traccia indelebile, al di là della retorica: “Maradona a Napoli è come Totò, Peppino De Filippo o Pino Daniele, rimarrà sempre vivo nella mente e nel cuore di tutte le persone che amano il calcio. Senza nulla togliere a Pelé, è il giocatore più forte di tutti i tempi. Se ci penso ora mi vengono i brividi. All’epoca tra leggerezza e inconsapevolezza non me ne resi conto”.
In queste ore vengono enfatizzati anche gli episodi più controversi, che per Cecere non macchiano l’icona: “A 17 anni era già in Nazionale. Non è stato facile essere un alieno del suo tempo, un artista inimitabile. La macchina del calcio industriale lo ha risucchiato. Fino a 34 anni è andato bene a tutti, per motivi di business. Poi gli hanno tagliato la testa, lo hanno dimenticato e il vizio della cocaina gli è stato fatale. Ma ha dimostrato grande cuore, riconoscendo dopo vent’anni un figlio nato senza la sua volontà. Orgogliosissimo, si è sentito ingannato e ha fatto fatica a metabolizzare, ma poi è riemerso il suo amore. Siamo tutti più poveri”.