Calcio

Catalano: “Acr? Credevo nella conferma. Ripartire da zero è sempre rischioso”

Cinque gol in ventuno presenze in campionato, più due siglate in cinque gare di Coppa Italia, competizione in cui la squadra guidata da Oberdan Biagioni è approdata sino in finale. Un bottino importante per un’esperienza tanto bella quanto breve. Arrivato in casa Acr Messina a dicembre 2018, Giovambattista Catalano ha vissuto in giallorosso dei mesi travagliati, conclusi con la salvezza diretta. Obiettivo che la società peloritana ha conquistato anche grazie alle reti messe a segno dall’attaccante di Lamezia Terme, classe ’94, adesso in forza al Corigliano che, dopo aver affrontato mesi complicati, soprattutto dal punto di vista societario, aveva rialzato la china prima dell’interruzione forzata.

Catalano celebra una delle sue cinque reti in giallorosso (foto Nino La Macchia)

Catalano, però, non nasconde la propria amarezza per non aver continuato la sua esperienza in riva allo Stretto: “Mi sarebbe piaciuto prolungare la mia avventura con il Messina. Ero in una piazza importante, ricca di storia e, sinceramente, credo di aver fatto bene e di aver dato il mio contributo alla salvezza dello scorso anno. Per questo ritenevo giusta la mia conferma, tanto che pur di restare a Messina ho rifiutato alcune offerte interessanti“.

L’ex calciatore del Roccella non è riuscito però a convincere il nuovo staff dirigenziale peloritano: “Il direttore Antonio Obbedio mi ha comunicato che non rientravo più nei piani societari e quindi mi sono guardato intorno. Dopo è sempre facile parlare, ma credo che la famiglia Sciotto si sia pentita di aver dato carta bianca a un direttore che ha cancellato ogni segno della stagione precedente, ripartendo da zero, quando a mio avviso bastava invece rinforzare quella rosa per ambire a un campionato di vertice”.

Giovanni Catalano è stato tra gli elementi più positivi (foto Nino La Macchia)

Il presente ora dice Corigliano, realtà con cui Catalano ha vissuto un campionato dai due volti, almeno fino allo stop imposto dall’emergenza Coronavirus: “Siamo partiti bene, dopo tre o quattro giornate eravamo a due punti dal Palermo. Poi, però, il nostro presidente ha avuto qualche disavventura, per cui abbiamo vissuto una fase di smantellamento. Eravamo rimasti pochi over e ci presentavamo in campo con una squadra composta da giovanissimi. Sono stati mesi difficili, soprattutto per chi ha alle spalle delle esperienze importanti. Andare in giro per i campi della serie D a subire sconfitte a ripetizione diventa frustrante. Poi, fortunatamente, la proprietà ha risolto i problemi, abbiamo ripreso a marciare e stavamo intravedendo la salvezza”.

In questi giorni si sta decidendo il futuro del calcio italiano. La serie C ha alzato bandiera bianca, almeno per questa stagione e lo stesso destino sembra toccare ai Dilettanti: “È troppo comodo dire che bisogna mettere la salute davanti ad ogni cosa. Se non ci sono le strutture e le possibilità per garantire la sicurezza di calciatori e addetti ai lavori è giusto che non si riprenda, programmando la prossima stagione. Io sono un calciatore e come tanti miei colleghi soffro perché per me il campo è vita. Non mi riferisco solo alla partita ma allo stare insieme con i miei compagni anche per un semplice allenamento. Ma dall’altro lato voglio che chi mi dice di riprendere a giocare garantisca sulla mia sicurezza”.

Biondi fa ripartire l’azione, Catalano si propone (foto Nino La Macchia)

Lo scenario attuale parla di un calcio italiano a due velocità con la serie A che spinge per la ripartenza già nelle prossime settimane: “È chiaro che stiamo parlando di uno scenario completamente differente, in questo caso bisogna tener conto anche dei contratti milionari con le televisioni. Ma a parte tutto credo che il discorso sia diverso anche proprio da un punto di vista delle strutture. Le società del massimo campionato possono disporre di attrezzature che consentono di tenere sotto controllo i giocatori, cosa che risulta impossibile per una società di serie C o D”.

Antonio Macauda

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