Un appuntamento straordinario, che segna il ritorno a Messina, dopo un lungo periodo di assenza, dell’opera lirica. Andrà in scena al Teatro Vittorio Emanuele mercoledì 30 marzo alle 21, con repliche venerdì 1. aprile alle 21 e domenica 3 aprile alle 17,30, La bohème di Giacomo Puccini, con la regia di Giorgio Bongiovanni.
Protagonista di questo allestimento del capolavoro pucciniano, una produzione dell’E.A.R. Teatro di Messina, un cast di altissimo livello formato da Elisa Balbo (Mimì), Danilo Formaggia (Rodolfo; nella foto grande in alto), Paola Cigna (Musetta), Vittorio Prato(Marcello), Eugenio Di Lieto (Colline), Salvatore Salvaggio (Schaunard) e Angelo Nardinocchi (Benoit/Alcindoro). Gli artisti saranno accompagnati dal coro lirico “F. Cilea” di Reggio Calabria, diretto dal maestro Bruno Tirotta, e dal coro di voci bianche “Biancosuono” di Messina, diretto invece da Agnese Carrubba. Sul podio, a dirigere l’Orchestra del Teatro Vittorio Emanuele, ci sarà il maestro Marco Alibrando.
Opera lirica in quattro quadri, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, La bohème fu rappresentata per la prima volta al Teatro Regio di Torino il 1. febbraio 1896. L’esistenza gaia e spensierata di un gruppo di giovani artisti bohémiens – il poeta Rodolfo, il pittore Marcello, il musicista Schaunard e il filosofo Colline – costituisce lo sfondo dei diversi episodi su cui si snoda la vicenda dell’opera, ambientata nella Parigi del 1830.
Quella proposta da Giorgio Bongiovanni, sarà una Bohème assolutamente fedele al libretto di Giacosa e Illica, tratto daScene della vita di Bohème, il romanzo di Henri Murger che, attraverso le vicende dei protagonisti, racconta di quel fenomeno che definire solo letterario sarebbe riduttivo: bohème, infatti, è soprattutto uno stile di vita, bohèmiens sono giovani dallo spirito rivoluzionario, decisi a scardinare il sistema per realizzare una società nuova. L’impostazione tradizionale emergerà anche dai costumi, firmati da Carla Ricotti, e dalla scenografia. Un allestimento scenico di assoluto valore che impreziosirà lo spettacolo in scena al Vittorio Emanuele. A creare infatti un effetto da sogno saranno i teli dipinti interamente a mano – un esempio di vecchio artigianato – realizzati sui bozzetti originali del grande scenografo Nicola Benois, direttore degli allestimenti scenici della Scala di Milano dal 1937 al 1970.
«Ogni volta che riascolto La bohème – spiega Giorgio Bongiovanni – provo lo stesso senso di sconcerto: il sipario si apre sulle facezie e gli scherzi dei giovani artisti pronti a tutto pur di sbarcare allegramente il lunario, e si chiude con l’urlo straziato di Rodolfo sul cadavere di Mimì. Sembra impossibile che queste scene appartengano alla stessa opera. Eppure, a seguire la storia atto per atto, le vicende e la musica conducono fatalmente a quella disperata scena finale come ad una conclusione naturale. Cosa è accaduto in mezzo, tra l’allegria spensierata e la morte? La risposta è semplice quanto disarmante: la vita, è trascorsa la vita. E in questa semplicità l’opera appare, appunto, sconcertante».
Bohème è la celebrazione della giovinezza. E il capolavoro pucciniano, sottolinea il regista, «fotografa spietatamente il momento di passaggio dalla giovinezza all’età adulta, quella stagione dell’esistenza che tutti dobbiamo affrontare prima o poi: nessuno se ne può sottrarre. Sarà per questo che La bohème ci pone davanti uno specchio impietoso che ci fa riconoscere, con affetto e rassegnazione, in quegli artisti squattrinati. Nelle prime scene, in quella spensierata e favolosa vigilia di Natale, nessuno prova pietà per la misera condizione di Rodolfo, né per le pene amorose di Marcello. Perché? Perché sono giovani e spensierati. I giovani non pensano alla morte, alla fine, alla malattia; da giovani si ama, si ride, si vive felici, nonostante freddo e miseria. Poi, un giorno, ci si sveglia e ci si trova di fronte alla tragedia del vivere; e di colpo, fatalmente, si è diventati adulti.
Esattamente questo avviene sotto gli occhi degli spettatori de La bohème. E si rimane sconcertati». «Si potrebbe obbiettare che tutto ciò è naturale, perfino banalmente risaputo; questa è la vita, perché stupircene? Eppure quel terribile istante in cui la festa goliardica viene interrotta dall’arrivo di Mimì morente, a vederlo accadere sotto i nostri occhi provoca un effetto dirompente. Proprio l’alternanza così improvvisa (e naturale) fra tragedia e farsa, fra melodramma e opera buffa, provoca quel senso di sconcerto nello spettatore. Ma, a pensarci bene, è lo stesso smarrimento – conclude Giorgio Bongiovanni – che si prova di fronte alle grandi opere d’arte perché rappresentano la vita, che non è tragedia o commedia, ma è tutto insieme. E perché parlano diretto, senza filtri, con la stessa disarmante semplicità, d’amore, gioia, giovinezza e morte».