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Al Teatro Vittorio Emanuele lo spettacolo “La vita ferma: Sguardi sul dolore del ricordo”

Il 25, 26 e 27 novembre al Teatro Vittorio Emanuele andrà in scena lo spettacolo “La vita ferma: Sguardi sul dolore del ricordo”, dramma di pensiero in tre atti scritto e diretto da Lucia Calamaro, con Riccardo Goretti, Alice Redini e Simona Senzacqua.

Teatro
Laura Calamaro (foto Alessandro Carpentieri)

L’assistenza regia è curata da Camilla Brison, mentre le scene e costumi da Lucia Calamaro, i contributi pitturali da Marina Haas, la direzione tecnica da Loic Hamelin, l’accompagnamento e distribuzione internazionale da Francesca Corona per una produzione di SardegnaTeatro, Teatro Stabile dell’Umbria in collaborazione con Teatro di Roma, Odéon – Théâtre de l’Europe, La Chartreuse – Centre national des écritures du spectacle e il sostegno di: Angelo Mai e PAV. La stessa Lucia Calamaro nelle note di regia ha messo in rilievo: “La sua gestazione ha avuto in me i tempi faticosi della rivelazione lenta e sommersa, abbordando quel dramma che il pensiero non sa, non vuole, non può gestire. Per arrivare a centrarne il ‘dramma di pensiero’ ho buttato via più materiale di quello che resta. Ma il resto, quello che rimane, è per me il punto ultimo di concentrazione di un racconto che accoglie, sviluppa e inquadra il problema della complessa, sporadica e sempre piuttosto colpevolizzante, gestione interiore dei morti. Non la morte dunque, e non il problema del morire e di chi muore, che sappiamo tutti risolversi sotto la misteriosa campana del nulla, che strangola sul nascere ogni comprensione. Ma i morti, il loro modo di esistenza in noi e fuori di noi, la loro frammentata frequentazione interiore e soprattutto il rammendo laborioso del loro ricordo sempre cosi poco all’altezza della persona morta, cosi poco fedele a lei e cosi profondamente reinventato da chi invece vive. E con i morti,una riflessione aperta sul lutto che ne deriva, la cui elaborazione non è detto sia l’unica soluzione, anzi, là dove una certa vulgata psicologizzante di malcerte origini freudiane comanda, esige, impone di assegnare il più velocemente possibile al proprio desiderio un oggetto nuovo per rimpiazzare l’oggetto perso, forse è li che interviene un racconto , anche uno piccolo come questo, pratica del singolare per antonomasia, a sdoganare il diritto di affermare la tragica e radicale insostituibilità di ogni oggetto d’amore perso, di ogni persona cara scomparsa. Il dramma di pensare o meno ai morti è comunque il dramma di pensiero di chi resta e distribuisce o ritira, senza neanche accorgersene, un esistenza. Di che tipo sia l’esistenza dei morti non saprei dire, ma come predica Etienne Soreau ‘Non c’è un’esistenza ideale, l’ideale non è un genere d’esistenza’. La Vita Ferma è dunque uno spazio mentale dove si inscena uno squarcio di vita di tre vivi qualunque, -padre, madre, figlia- attraverso l’incidente e la perdita. E’ occorso anche qualche inceppo temporale ad uopo, incaricato di amplificare la riflessione sul problema del dolore ricordo e sullo strappo irriducibile tra i vivi e i morti che questo dolore è comunque il solo a colmare, mentre resiste”. Nel primo atto c’è un trasloco, una casa da svuotare, forzosamente attraversata dallo spettro e il suo voler essere ricordato bene, in quanto unico, insostituibile. Nel secondo una coppia con bambina: Lui, Riccardo, storico e nostalgico fissato con Paul Ricoeur e i sinonimi. Lei Simona, quasi danzatrice e eccentrica fissata col sole e coi vestiti a fiori. La figlia Alice, da subito troppo sensibile, fissata col voler intorno gente che le parli. Quindi la morte di Simona, dopo protratta e non identificata malattia (non importa come, importa che muoia). Nel terzo atto c’è un’Alice cresciuta e a sua volta neo-madre che ritrova il vecchio padre Riccardo, sulla tomba, o quasi, della madre morta anni prima; ragionano non senza conflitti, su quell’assenza anticipata che sempre-e chissà se sempre meno o nel tempo ancora di più- ha marcato una rottura nel racconto illusoriamente prescritto delle loro vite.

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