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Addio a Paolo Rossi, l’eroe del Mondiale ’82. Gol e sorrisi in un’Italia felice

Se ne è andato a sorpresa, come quando sbucava alle spalle di un difensore e si faceva appena in tempo a vedere il pallone in rete. Nell’anno più brutto il mondo dice addio dopo Maradona anche a Paolo Rossi, il capocannoniere del mondiale 1982, l’hombre del partido di una notte magica in Spagna, un campione la cui popolarità ha raggiunto vette elevatissime anche fuori da quelle che allora erano le traiettorie abituali della passione calcistica.

Paolo Rossi
Paolo Rossi in Messico nel 2016, per la nomina tra i 125 migliori giocatori di sempre (foto Ansa)

Era l’immagine dell’Italia nel mondo, di lui parlavano ovunque, tassisti colombiani e soldati cinesi, infermieri del Ghana e bambini della striscia di Gaza: merito, certo, di quei sei gol in tre partite nell’estate del 1982 (tre al Brasile, due alla Polonia e uno alla Germania in finale) che fecero riversare in strada un Paese intero, felice di festeggiare un successo mondiale atteso 44 anni. Frutto quell’affetto trasversale anche di una classe calcistica superiore, di un’intelligenza indiscutibile, di quel sorriso che facilitava i rapporti umani con tutti: un autentico campione della porta accanto.

L’epos di quell’Italia campione del mondo guidata da Bearzot è fatto di tanti flash, ma i tre gol di Paolo Rossi al Brasile restano insuperati: un tassista di Rio confidò tanti anni dopo agli inviati dell’Ansa alle Olimpiadi: “Quell’uomo mi ha rovinato l’adolescenza, ma non riesco a volergli male”. Pare invece che un altro conducente d’auto in Brasile, riconosciutolo, l’avesse invitato a scendere, con cortesia e orgoglio ferito. Lui però preferiva ricordare quello che gli era accaduto in un altro paese dell’America Latina, dove arrivò qualche anno fa, e l’autista mandando messaggini mentre guidava nel traffico caotico gli fece trovare una piazza piena di gente in delirio davanti all’albergo. Si meritò il Pallone d’Oro per quella stagione da numero uno.

Tardelli, Rossi e Antognoni
Marco Tardelli abbraccia Paolo Rossi e Giancarlo Antognoni durante Italia-Francia (foto Ansa)

Centravanti di media statura, rapido e con grande tecnica, era riduttivo definirlo un opportunista. Capace di essere al posto giusto al momento giusto, anche dopo tanti passaggi a vuoto, sbucando dal nulla, imprevedibile per gli avversari, che fossero gli organizzatissimi tedeschi o i fantasiosi brasiliani. Insomma, la quintessenza dell’italiano, e non solo per il nome. Pur con una una carriera breve (appena dieci anni in serie A, di cui due cancellati dalla vicenda delle scommesse nella quale si ritrovò impelagato nel 1980 nonostante avesse sempre rivendicato la sua innocenza), la corsa di Rossi verso la notorietà e la leggenda è costellata da tante serpentine, riuscite o meno: dall’esplosione nel Vicenza, all’amarezza nei lunghi giorni della squalifica, dai momenti indimenticabili del Mundial spagnolo al desiderio di tornare a essere una persona qualunque, un imprenditore e opinionista stimato.

La storia di Pablito che, scoperto da Luciano Moggi, aveva cominciato a giocare nel settore giovanile della Juventus diventa favola nel ’78, al termine di una fantastica stagione con il Lanerossi Vicenza: per il giovane talento di Prato, che porta la sua squadra ad un soffio dallo scudetto vincendo la classifica cannonieri, si spalancano le porte della Nazionale, per il Mondiale in Argentina. Eppure non tutto era filato liscio fino ad allora: ancora minorenne ma già speranza di prim’ordine, aveva subito già tre operazioni al menisco. La svolta arriva dall’intuizione di Gibì Fabbri, che a Vicenza da ala lo sposta al centro area per mandare in rete quanti più palloni possibile.

Figc
Bandiere a mezz’asta in Figc per la morte del campione del mondo Paolo Rossi (foto Ansa)

In biancorosso due anni: dominio nel campionato cadetto grazie ai 21 gol di Rossi che si ripete anche nella stagione successiva, vincendo la classifica cannonieri e ottenendo la convocazione al Mondiale argentino dove impressiona per freschezza e vitalità, ma non va al di là del quarto posto finale con gli azzurri di Bearzot. Non si spalancano le porte del ritorno alla Juventus. Alle buste, il presidente Farina lo riscatta per 2,6 miliardi, una cifra record per l’epoca che lascia tutti sbalorditi, fino alle dimissioni di Franco Carraro dalla Figc, ma che non serve ai veneti per evitare la retrocessione dopo il campionato dei miracoli.

Tocca al Perugia puntare su quello che ormai definiscono un talento perduto e che proprio in Umbria resta invischiato nello scandalo del calcioscommesse, una questione di gol “garantiti” da segnare discussa mentre lui gioca a carte con i compagni di squadra. Sfumano gli Europei ’80 e in molti tornano a parlare di carriera finita. Ma il destino ha ancora molto in serbo per lui. Scontata la squalifica, Rossi passa finalmente alla Juve ma sembra ormai l’ombra del giocatore ammirato a Vicenza. Il suo mentore stavolta si chiama Enzo Bearzot che, nonostante tutto, crede ancora in lui e decide di portarlo in Spagna, insistendo anche dopo le prime opache prestazioni contro Polonia, Perù e Camerun.

Pelé e Paolo Rossi
Pelé ritira a Siena il Premio Artemio Franchi, al suo fianco Paolo Rossi (foto Ansa)

Ma i gol e il mito sono lì, a due passi. Arrivano, uno dopo l’altro, nemmeno nell’arco di due settimane, dal 29 giugno all’11 luglio: l’Italia di Bearzot esplode contro l’Argentina di Maradona, ma la madre di tutte le partite è con il Brasile di Zico e Socrates. Con la tripletta diventa leggenda e in quel torrido pomeriggio spagnolo Paolo Rossi capisce che il coronamento di una carriera è arrivato prima ancora della vittoria finale. Al quale l’Italia arriva con un’altra sua doppietta (2-0 alla Polonia) e il primo dei tre gol alla Germania in finale.

Ha vinto l’Italia, ma il sigillo è di Paolo Rossi omaggiato persino da Mick Jagger che in un celebre concerto indossa una sua maglietta, come un tifoso qualsiasi. “Paolo Rossi era un ragazzo come noi”, canta invece Venditti accostandolo a Pelè in una sua canzone di successo, vince con la Juve la Coppa dei Campioni triste dell’Heysel, ma la sua carriera è ai titoli di coda: il Milan del nuovo corso berlusconiano prova a dargli una nuova chance: il biglietto è di sola andata, prima della fermata alla stazione di Verona, dove Pablito gioca la sua ultima stagione. Lascia il calcio, ma non il cuore degli italiani che gli saranno sempre grati, perché è stato la copertina di un Paese felice. (fonte: Ansa)

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