Era arrivato a Palmi con speranza ed entusiasmo, perché l’idea era quella di realizzare l’ennesimo miracolo della carriera. È una quarantena caratterizzata dalla riflessione quella di Antonio Venuto, perché il rammarico per quello che poteva e non è stato c’è, ma dopo tutto c’è anche la convinzione di aver dato ancora una volta tutto in una situazione difficile, quasi disperata. Il tecnico messinese racconta la sua avventura sulla panchina della Palmese, iniziata a campionato in corso e durata circa quindici partite.
Lui l’ambiente reggino lo conosceva bene, date le esperienze vissute sulle panchine dell’Hinterreggio e della “Primavera” amaranto. La nuova chiamata è arrivata lo scorso settembre: “Ho accettato la proposta della Palmese con convinzione. Ero arrivato in una piazza importante che può dare molto sotto l’aspetto del calore e del tifo, inoltre qualche elemento già lo avevo allenato in precedenza. Ma dopo un mese di campionato la squadra non aveva ottenuto neanche un punto – ha ricordato Venuto –. Purtroppo non appena arrivato ho trovato una situazione difficile, i giocatori erano in sciopero per via dei mancati pagamenti degli stipendi. Nonostante tutto la situazione è rientrata, la squadra stava crescendo fisicamente e tecnicamente, dimostrando di valere più di quanto non dicesse la classifica”.
L’ex allenatore del Milazzo racconta allora l’illusione di una svolta: “Abbiamo ottenuto sette punti in dieci partite, togliendoci la soddisfazione di aver fermato il Palermo, che fino a quel momento le aveva vinte tutte. Sentivo di poter costruire qualcosa di importante, togliendomi le stesse soddisfazioni che avevo ottenuto con il Due Torri. Arrivato dicembre, però, quasi tutta la rosa ha chiesto e ottenuto lo svincolo anche a costo di rimetterci qualche mensilità, erano rimasti soltanto cinque giocatori e quindi c’era l’esigenza di dover ricostruire la rosa da capo a campionato già iniziato. Io ho fatto presente alla società che i risultati e i miglioramenti ottenuti fino a quel momento erano arrivati con i giocatori che erano andati via e quindi per me era difficile ripartire da zero. Poi con l’ingresso di nuovi soci la proprietà ha fatto diverse valutazioni. A lavorare in società che non dispongono di grandi budget sono abituato, ma alla Palmese c’erano dei deficit strutturali troppo grandi”.
Il tecnico guarda anche i fatti di casa nostra ed elogia il Fc Messina per la stagione condotta fino alla sospensione del campionato: “L’ottimo campionato che hanno fatto sin qui non mi sorprende. Ero tra quelli che sosteneva che sarebbero stati una delle rivelazioni di questa stagione, ma vanno elogiati perché partire da zero non è mai facile. Rocco Arena è stato molto bravo e si è attorniato di dirigenti competenti – ha continuato Venuto –. Uomini di calcio a tutto tondo come Morello e Ferrante che sono stati in grado di allestire una rosa importante. Un gruppo qualitativamente valido in grado di ottenere risultati positivi. Anzi, forse per la qualità del gioco espresso questa squadra ha ottenuto qualche punto in meno di quelli che avrebbe meritato. Io credo che se la città presterà a questo progetto sportivo l’attenzione che merita, il futuro sarà suo”.
Ben altra valutazione dà Venuto della stagione dell’Acr Messina, sua ex squadra: “Purtroppo ci troviamo davanti al terzo fallimento in tre anni e la situazione sia fa sempre più ingarbugliata con il passare delle annate. Il campionato era iniziato sotto ben altri auspici, considerato l’ingresso in società degli ex dirigenti del Camaro, ma evidentemente sono riaffiorati i soliti limiti. In questi anni sono cambiati giocatori, allenatori e dirigenti, mi pare evidente che il problema nasce dalla testa. Purtroppo la proprietà non si è mai assunta realmente le proprie responsabilità, continuando a ripetere errori su errori. Stiamo parlando di una società che si è lasciata male con molti ex, con cui si è arrivati alle vie legali. Purtroppo contano i risultati e al momento questa proprietà ha dimostrato di non essere in grado di fare calcio a certi livelli”.
Per Venuto, il calcio post-coronavirus non può prescindere dalla riforma dei campionati dilettantistici e da un maggior spazio riservato ai giovani: “Io credo che la Federazione debba soltanto prendere atto di una situazione esistente, che sarà amplificata da questa emergenza. Mi domando se e come riprenderanno molte società dei gironi lombardo-veneti di serie D. Nove gironi in quarta serie ad esempio mi sembrano eccessivi. Questa sarà una crisi economica che colpirà il calcio dilettantistico: le società a questo livello vivono di sponsor ed è evidente che le aziende non potranno garantire le stesse somme di prima. Per troppi anni si è fatto finta di non vedere realtà che già ad inizio campionato erano con l’acqua alla gola e la situazione è complicata anche in Eccellenza. I due gironi regionali sono una ricchezza che non possiamo perdere, ma probabilmente 32 squadre sono troppe. Il calcio dilettantistico può essere l’habitat ideale per i giovani: secondo me bisognerebbe cambiare il regolamento, imponendo alle squadre di schierare sette under e quattro over, vale a dire facendo il contrario di quanto avvenuto finora”.