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Messina

Carolina Costa si racconta: ”Faccio judo per passione, nel ricordo di papà”

“Nella palestra di papà sono entrata appena in grado di muovere i primi passi. Ricordo che ero ipnotizzata dal rumore dei tonfi sul tatami, dalle urla e le corse dei bambini che facevano lezione. Già allora la mia vita era tutta lì, o al seguito di mamma impegnata all’estero nelle gare. Se i miei desideravano un maschietto? Non so, forse una femmina con il carattere da maschio. Credo di averli accontentati”. A parlare è Carolina Costa, judoka azzurra 25enne, medaglia di bronzo mondiale a Lisbona 2018, categoria +70 Kg ipo vedenti, medaglia d’oro al recente Grand Prix IBSA di Baku. Che ha respirato l’aria delle palestre e l’arte del combattimento di judo e kendo in famiglia, figlia del Maestro messinese Franco Costa e dell’olimpionica polacca Katarzyna Juszcak. “Alla Scuola invitavo gli amichetti, facevo le mie festicciole, aspettavo la chiusura dopo le ultime lezioni e a letto prima delle 23 non andavo mai”. Dai salti per gioco alle prime gare il passo è stato breve e quasi obbligato: “Da regolamento, si può cominciare a 6 anni. Ho fatto tutti i passaggi di categoria: bambini, fanciulli, ragazzi”. Poi esordienti, cadetti, junior, U23 e assoluti.

Carolina Costa (a destra) insieme alla madre e guida tecnica, Katarzyna Juszczak

La frase che mi ripeteva mio padre ancora mi risuona in testa, ‘non mollare mai’, e io non mollavo. L’ho perso quando avevo solo 11 anni ed ero tra il pre-agonismo e l’agonismo, l’ho vissuto poco. Ma eravamo due corpi e un’anima”. A forza di ippon fatti e subiti, Carolina si è stretta dentro un arcobaleno di cinture, in gran parte gareggiando con i maschi, con una stazza fisica più adatta a loro che alle ragazze.
Ora sono cintura nera 3° dan, ci si arriva vincendo i vari Campionati delle diverse età. Per passare al grado successivo, la parola spetta alla FIJLKAM che può assegnare il dan superiore per meriti sportivi, oppure dovrei preparare l’esame di kata, ma non riesco a trovare il tempo. Intanto mi tengo stretto questo che ho e vado avanti. Magari partecipando alle Paralimpiadi di Tokyo arriverà il 4° dan”, dice con un sorriso. Carolina attinge la forza che ha oggi ancora e sempre dal suo passato, dall’impronta ricevuta e oggi calcata con orgoglio. Al papà la riportano per esempio i film Disney, ‘Mulan’ su tutti con le sue musiche incantevoli: “Li rivedo spesso, i cartoni che da piccola vedevamo insieme, mi danno serenità e carica prima delle gare”. Al papà ha dedicato la sua nuova palestra, aperta otto mesi fa. “Quella che aveva la mia famiglia l’abbiamo chiusa dopo la sua scomparsa. Non riuscivamo a portarla avanti da sole, mamma e io. Ora che ho l’età per prendermi le mie responsabilità, ho aperto la mia. Al Judo Club Franco Costa, abbiamo una cinquantina di allievi. Sono venuti perché il nome di papà qui a Messina non l’ha dimenticato nessuno”. E lei l’ha interiorizzato come un eroe, un mentore al cui solo pensiero tornano a bagnarsi gli occhi.

Carolina Costa sul podio
Carolina Costa sul gradino più alto del podio al Gran Prix  IBSA di Baku

Una missione sociale, questa palestra, compiuta a forza di sorrisi e passione, togliendo molti bambini dalla strada o dall’incubo bullismo, in un posto dove le opportunità sono poche. “Insegniamo prima di tutto il rispetto, per il compagno e per l’avversario. Poi a difendersi, imparando le regole di sicurezza sia fisica che mentale. Ogni combattimento fatto, è una piccola conquista personale, nel judo si cade di continuo ma ci si rialza sempre. Questa è una certezza che ti servirà per il resto della vita“. Un mantra che ripete ai ‘suoi bambini’ fino allo sfinimento, fin da adolescente: “Sono dovuta crescere in fretta, a sedici anni ho lasciato casa per andare a fare l’istruttrice”. Insegnava e intanto vinceva. Ha vinto tutto, quando ancora ci vedeva perfettamente. Poi nel 2016, in pieni Campionati Assoluti, avverte i primi effetti del cheratocono, una malattia degenerativa della cornea, ereditaria. “Non siamo riuscite a risalire, se da parte di mia madre o di mio padre, all’origine di tutto. Fatto sta che d’un tratto non vedo più bene, all’occhio sinistro avevo perso l’80% della vista, il 50% al destro”. Il ritiro dalle gare FIJLKAM, l’operazione in Polonia per ridurre i rischi, ma per il cheratocono non c’è cura. Dopo lo scossone Carolina si rialza, comincia a navigare con la madre sul web. “Esiste il judo per non vedenti e ipovedenti, c’è la FISPIC, la Federazione paralimpica. Così ad agosto scorso, grazie a un motore di ricerca, comincia quest’altra strada. Anzi, è cominciata quasi con una ‘provocazione’, perché dopo neanche tre mesi, a novembre, il mio primo test sarebbero stati i Mondiali in Portogallo”. I primi della sua vita da agonista, tra l’altro vedendo ormai solo ombre colorate e poco più. Roba da mettersi a ridere per il ridicolo, o il nervoso, ma Carolina ha il dono della calma olimpica, una consapevolezza che ha radici lontane e accetta la sfida. Va, vince il bronzo e torna, in gloria. E’ lei la nuova stella del judo paralimpico azzurro. “L’unica cosa davvero diversa da prima, è che vieni guidata, all’ingresso sul tatami e si parte già in contatto con l’avversario, con la presa sul judogi”. La sua tecnica migliore? “Dipende dall’avversaria, se è molto pesante, nella mia categoria dopo i 70 kg non c’è limite di peso, lavoro sulla velocità, sennò sulle prese, per farle prendere sanzioni. Di strategie da mettere in campo, ne ho diverse”. Le fortissime? “La cinese Wang mi ha battuta ai Mondiali, ma mi sono vendicata al Grand Prix in Azerbaijan, ed è terza nella ranking mondiale. Prima è una brasiliana, seconda una coreana”.

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