Alzi la mano chi pensava che l’avrebbe fatto sul serio, così com’è realmente accaduto. Dopo “una vita” spesa dietro la pallacanestro, di certo Gianluca Basile non l’aveva mandato a dire: voleva farsene un’altra, di vita e chissà che la colpa non sia stata proprio di Capo d’Orlando.
Rieccoci allora un anno più tardi. Wikipedia, che dedica una pagina al suo “tiro ignorante”, si è trovata costretta a cancellare il titolo “ex cestista e leggenda italiana” attribuitogli dall’eccessiva bontà di un tifoso, mentre il tempo è volato via tra la stagione di pesca e qualche avance per la quale avrà anche perso l’abitudine. Se poi gli inviti a ripensarci non l’hanno spostato di un solo centimetro, l’Europa di cui parla il suo amico ed ex ds gli richiama tutt’altro, perché “l’Unione Europea – spiega – ci fa arrestare tutti se tocchiamo anche solo un tonno prima del 15 giugno”. Ed è così che resta solo la palla a spicchi. Di nuovo.
Venerdì, al Mediolanum Forum, “altri” al posto del Baso si allacceranno intanto i pantaloncini per il primo atto dei play-off scudetto contro l’Emporio Milano. Lui resterà in riva al mare, prima di tornare a casa e fare il tifo per la “sua” Capo. E lo si percepisce nelle sue parole che il legame con quella squadra lì è ancora fortissimo, dal “noi” più volte riferito ad una squadra che ha sogni di gloria dopo settimane di sofferenza e, rotto un incantesimo, si getta dentro un altro. Basile, a 42 anni, non ha però l’età per sognare l’Europa, che non è solo quella della pesca dei tonni ma anche le competizioni guardate più volte dall’alto in basso, il traguardo di cui i suoi ex compagni sentono adesso il profumo.
Ambizioni a parte, l’ex guardia di Ruvo di Puglia pensa ci sia solo da festeggiare per gli uomini di coach Di Carlo, che all’ultima curva hanno agguantato l’obiettivo 30 punti e fatto breccia nella griglia delle finali scudetto: “Ripeterò che è una stagione incredibile, perché non trovo parole migliori per descriverla. Capo – afferma Basile – è una squadra anomala per la Serie A e la scelta consapevole di esserlo l’ha premiata. Essere lì con quel budget da già una prova del lavoro che si è fatto, abbandonando gradualmente la linea USA per guardare all’Europa. Peccato per il calo delle ultime giornate (sei sconfitte consecutive prima della vittoria contro Pesaro, ndr), ma andava calcolato. Le “piccole” del campionato patiscono sempre in modo evidente un numero di infortuni così ed in un caso come questo – commenta – è anche difficile rimpiazzare. Se Milano ci mette un paio d’ore a sostituire un giocatore, perché si muove secondo altre logiche, qui è diverso, è molto più corretto fare i conti con gli effetti che un innesto può avere sugli equilibri della squadra. L’importante era arrivare alle Final Eight e adesso conta godersi questi playoff con Milano, che fa sempre un certo effetto affrontare i campioni in carica”.
E non poteva mancare il Baso tra chi tesse le lodi del progetto europeo di Capo d’Orlando, esempio di follia visionaria che, da cestista, aveva sempre incoraggiato. Parlando di basket giocato “la lingua batte dove il dente duole” per chi si è più volte scagliato contro una pallacanestro definita “senza identità” per la presenza di troppi americani: “Se Peppe Sindoni è il miglior dirigente sportivo in Italia – dice in riferimento al premio conferito al ds paladino da FIP – non è solo grazie ai risultati più recenti. Questa squadra non ci sarebbe senza il lavoro fatto negli anni e non dimentico quando in A2, dentro lo spogliatoio, noi italiani eravamo in otto. Inevitabilmente la squadra aveva un suo stile, pienamente europeo, che l’A1 ti porta ad abbandonare. Posso dire che è stato un disastro? (ride, ndr). Saranno anche scelte di necessità e d’altronde facemmo un buon girone d’andata, ma non fu per nulla semplice. Facevamo fatica – racconta – a tenere il ritmo in allenamento ed anche ad esprimere gioco. Purtroppo dipendeva tutto dall’americano, che “decideva” se spararsi venti tiri e farti vincere la partita o farti bombardare e subire venti canestri. Peppe ci ha creduto ed è stato bravo. Io, Soragna e Nicevic forse lo abbiamo anche importunato, ma i risultati prima o dopo arrivano. Ne è valsa la pena insistere.”
Americani o no, neppure l’invito rivoltogli dal presidente Enzo Sindoni – durante una cena sociale – ha convinto Basile a tornare in campo, anche solo per un’apparizione in Coppa Italia quale premio “alla storia” che il Baso ha contribuito a scrivere: “Purtroppo comanda ancora la testa. Non sono il tipo – sottolinea – che torna indietro sulle proprie decisioni, specie quando le prendo dopo vent’anni, quelli di tutta una carriera. Ero davvero arrivato al limite: per questo non ho dubbi sul mio ritiro. Mi sento dire che avrei potuto fare un altro anno, che in questa squadra qui sarei stato perfetto. Sì, è il sogno di tutti che nella pallacanestro esista solo la partita… ed è proprio tutto il resto che mi preoccupa, dal 20 agosto fino all’ultimo allenamento. Non credo di essere nelle condizioni mentali per poter affrontare una stagione, nemmeno in altre vesti”.
Tornando indietro, la miglior Betaland secondo il rapporto qualità/prezzo (si legga pure senza la bomba Fitipaldo) è forse quella di Rimini, delle F8 di Coppa Italia. Se a febbraio i siciliani uscirono tra gli applausi, per un soffio, per mano di Reggio Emilia, stavolta è tutto diverso: “E’ sempre una Final Eight, – commenta Basile – ma è sensibilmente diverso. In Coppa Italia incidono fattori più forti, anche perché è una gara secca. C’è molta pressione e per una squadra come Capo anche la cosiddetta paura di vincere. Quando corri per lo scudetto cambia ed anzi da certi punti di vista è completamente l’opposto. Nei playoff hai il tempo per superare la sconfitta e porre subito rimedio, consapevole che pur sbagliando oggi tra un paio di giorni sei di nuovo lì, con lo stesso avversario. Quindi – afferma – è meglio andare avanti senza pressione, senza pensarci troppo. Ricordo ai tempi di Reggio Emilia, quando eliminammo Milano agli ottavi e Treviso ai quarti, con due turni perfetti”.
Il Baso è un doppio ex, se vestì la canotta dei meneghini nella stagione 2012-13, l’anno precedente a quello dell’approdo alla Betaland. Un sogno, quello di giocare con Milano, diventato realtà: “Milano è stato per me e per tanti ragazzi quello che è stata la Juventus per tanti bambini che guardano il calcio in TV. La squadra che vince a mani basse, giocando bene, – riflette – è quella di cui ci si innamora ed a me è successo non appena ho preso confidenza con la palla a spicchi. Oggi è un po’ la stessa cosa. Dicevo che quando non hai stress può succedere di tutto: mi verrebbe da dire che è vero a meno che non si tratti dell’Armani di oggi. Obiettivamente – continua – Milano è un po’ un’altra categoria rispetto a Capo, soprattutto da un punto di vista fisico. Ad ogni modo va bene così, come ho detto prima adesso è tutta una questione di godersi quello che si è raggiunto.”
E se nelle tre stagioni in biancazzurro il PalaFantozzi sembrò più volte di crollare al boato dei tifosi per l’ennesimo “tiro ignorante”, che ha reso Basile esso stesso un po’ cult, martedì 16, in gara 3 – come nove anni fa, sempre ai playoff – ci pensa Drake Diener, mago delle triple e neo miglior realizzatore della storia della Betaland: “Diener è spettacolare. Sappiamo tutti chi è – dice – e nonostante abbia una certa età la classe si vede. Tutti i tiri che fa sembrano normalissimi ed in questo siamo lontani anni luce. Cerca di non forzare quasi mai, ha una preparazione del tiro pulitissima e quindi le differenze non sono poche. Non sarà il tiro ignorante, ma con le sue triple Diener ha davvero trascinato questa squadra quando ce n’era bisogno”.